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Perché studiare l’immigrazione oggi? Casini Benvenuti spiega la nascita dell’Osservatorio sulle Migrazioni con Centro Studi IDOS, CARITAS, Fondazione Leone Moressa e Neodemos

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

L’immigrazione è da ormai molti anni al centro del dibattito pubblico nazionale. Tra i tanti temi oggetto discussione, uno dei più quotati è forse l’impatto che i flussi migratori hanno sul sistema economico italiano. Una questione complessa, che può essere compresa davvero soltanto se inserita in riflessioni più ampie sul sistema produttivo del nostro paese. È proprio per fare luce su questa questione che l’Istituto Regionale di Programmazione Economica Territoriale IRPET ha deciso di unire le sue forze con quelle del Centro Studi IDOS, di CARITAS, della Fondazione Leone Moressa e del foro Neodemos, per fondare un Osservatorio sulle Migrazioni. 
#AccoglienzaToscana ha intervistato il direttore di IRPET Stefano Casini Benvenuti per capire di più sulle ragioni che motivano la nascita dell’osservatorio. 

Buongiorno direttore, e grazie di essersi reso disponibile per questa intervista. Come è nata la scelta di formare un Osservatorio sulle Migrazioni?

La scelta di dedicarci al tema dell’immigrazione in modo composito è nata da più considerazioni.
La prima è piuttosto facile da immaginare: i flussi migratori verso l’Italia in generale e la questione dell’accoglienza in particolare sono due temi che stanno avendo un grande ruolo nel dibattito nazionale. Questo viene fatto, paradossalmente, senza godere di una base informativa seria e condivisa. Un fatto grave cui vogliamo porre rimedio.
Ma c’è un secondo motivo, che nasce dalla storia del nostro istituto. A partire dalle analisi di IRPET si è andata a profilare negli ultimi anni una situazione preoccupante: la rilevazione di un declino demografico che interessa tutta l’Italia e, seppur in maniera minore rispetto alla media nazionale, anche la Toscana. Guardando le proiezioni fatte sulla nostra popolazione infatti, dovremmo idealmente vedere una piramide [in cui la base ampia rappresenta la popolazione più giovane e il vertice la popolazione più anziana, NdR]. E invece otteniamo qualcosa che della piramide ha ben poco: la sua base va progressivamente ad assottigliarsi, con tutto quello che questo comporta. Un dato allarmante che impone di fare qualcosa. Magari attraverso politiche per la famiglia. Nel frattempo, anche l’immigrazione sembra essere la chiave per garantire la tenuta del nostro sistema sociale ed economico. Ed è proprio per comprendere nel dettaglio il complesso rapporto esistente tra le migrazioni e l’assetto demografico, economico e sociale del Paese e della Toscana che oggi pensiamo serva mettere insieme le diverse competenze di cui dispongono IRPET, IDOS, CARITAS, Fondazione Leone Moressa e Neodemos.

L’Osservatorio nasce quindi con questa doppia anima: da un lato l’etica e la volontà di monitorare la condizione dei migranti sul territorio in quanto portatori di diritti, dall’altro la realizzazione che l’Italia ha bisogno di fare accoglienza, anche volendo ragionare solo in termini economicistici e cinici. 

 

Giochiamo a fare i cinici allora, e concentriamoci soltanto sulle sorti dell’Italia. Il nostro paese sarà sempre più anziano?

Per ora il nostro è solo un timore, un’ipotesi di lungo periodo. Ma un’ipotesi che poggia su argomenti abbastanza certi. 

Immaginati due rette che iniziano a divaricarsi un pochino. Se le guardiamo all’inizio, lo scarto è quasi minimo. Eppure, proiettandole in avanti queste arrivano in mondi radicalmente diversi. 
Quella prima divaricazione che sembra poco significativa in sé e per sé, quando è ben interpretata la dice lunga. Allo stesso modo noi non siamo in grado di prevedere con certezza che volto avranno l’Italia e la Toscana nel 2050. Ma un’analisi congiunturale che guarda di qui a due anni, basta e avanza a dirci che stiamo prendendo una direzione preoccupante. E i numeri parlano chiaro: finché andrà così, il nostro sistema socioeconomico non sarà in grado di crescere e mantenere il livello di benessere che finora ci è stato garantito.

 

Un problema di demografia, che diventa anche un problema di crescita economica. Ma l’immigrazione che ruolo ha in tutto questo?

In effetti all’apparenza questo tema può sembrare distante dal nostro argomento, ma è forse il nocciolo della questione. La competitività di un paese si può giocare su due fronti diversi. 

Il primo, più virtuoso, è il fronte scelto da un paese sviluppato che vuole puntare tutto sulla qualità dei suoi prodotti. In questa dimensione ideale troviamo una domanda di lavoratori di alto e basso profilo, che insieme contribuiscono alla realizzazione di prodotti di alta qualità. Ma c’è anche un altro modo di essere competitivi, ricco di controindicazioni: quello fondato sul ribasso dei costi. 
Il sospetto è che il nostro sistema produttivo, che tanto avrebbe da fare seguendo la prima via, stia lentamente tornando a puntare sulla competizione fondata su prezzi bassi. Lo dice l’abbassamento del costo del lavoro, e lo dice l’aumento del lavoro precario. 
Ed ecco che in questo secondo deplorevole modello di sviluppo, la presenza degli immigrati fa la differenza. Perché permette di operare ulteriori abbattimenti sul costo del lavoro.

 

Dunque è vera la teoria che vuole gli immigrati come un “esercito di riserva”, che è causa fondante dei problemi lavorativi degli italiani?

Non proprio, anzi è forse vero il contrario. Ci sono due importanti specifiche da fare a questo quadro, che ne cambiano radicalmente il significato. Intanto, è solo a partire dalla crisi del nostro sistema produttivo e dalla scelta di non agire politicamente in maniera lungimirante che il nostro sistema si sta stabilizzando spontaneamente, puntando in maniera progressiva verso la logica del ribasso dei costi. Questo secondo modello ha nelle sue fondamenta la ricerca costante di qualcuno da sfruttare. E chi è più facilmente sfruttabile? Gli immigrati, naturalmente.

E qui arriviamo al secondo punto: non è l’arrivo degli stranieri sul territorio in sé a permettere di abbattere i costi. Piuttosto è la loro elevata vulnerabilità finché permangono sui nostri territori che li mette in una posizione di estremo svantaggio – spingendoli ad accettare condizioni che raramente un italiano potrebbe anche solo arrivare a prendere in considerazione. 
E ti dirò di più: se oltre che poveri sono pure clandestini, a questo modello produttivo va ancora meglio. 

 

Quindi l’immigrato regolare e ben inserito fa bene al paese.

Sarebbe difficile pensare il contrario. Ma realizzarne appieno il potenziale impone scelte politiche lungimiranti che puntino al primo modello di sviluppo di cui parlavamo. Sono scelte che oggi è difficile prendere, perché nell’immediato rischiano di concretizzarsi in misure spiacevoli e impopolari. Ad ogni modo, se inserito nel primo modello di sviluppo virtuoso, l’immigrato regolare non può dare problemi, come non ne ha dati in altri paesi. Come non ne ha mai dati al Nord Italia chi veniva dal Sud Italia negli anni ‘50 e ’60! Oltretutto, le persone che oggi arrivano in Italia sono più giovani e in salute rispetto alla media nazionale. Se sono regolari allora pagano i contributi, ad esempio all’INPS, e ricevono in termini di servizi molto meno di quel che pagano. Queste caratteristiche fanno dell’immigrato regolare un cittadino ideale.

 

Meraviglioso! Abbiamo risolto la questione? 

Non esageriamo! Il lavoro determina una parte importante della nostra vita, ma non è tutto. È vero che i nuovi arrivi non ci stanno rubando il lavoro – perché i lavori che accettano spesso hanno condizioni che altri non prenderebbero mai in considerazione. Ma dimostrare che i neoarrivati in Italia non si trovano in concorrenza lavorativa con i cittadini residenti, non vuol dire certo risolvere ogni fonte di conflitto. C’è forse un secondo tipo di conflitto che nasce dalla condivisione di uno spazio, anche fisico. Penso alle periferie, che non a caso sono tornate ad essere un tema rilevante. 

Certo la politica deve preoccuparsi dell’inserimento del mondo del lavoro, ma forse anche di un vero inserimento di tipo sociale e di una diversa gestione della città. Una sfida che affonda le sue radici nella ricerca di nuove forme di convivialità. Anche per questo l’Osservatorio porterà avanti uno studio sulla sensibilità degli abitanti della Toscana, sulla loro percezione della migrazione come un problema. 

 

Convivere con la diversità è una sfida tanto complicata, che viene la tentazione di non raccoglierla. Spesso ci si chiede “se” vadano accolti i cittadini provenienti da paesi terzi e non “come” questo possa essere fatto. Ma se domani ci svegliassimo e fossero spariti tutti dalla Toscana, che cosa succederebbe?

Questa è una domanda che ci facciamo spesso anche noi, e corrisponde a un vero e proprio metodo di analisi che vorremmo adottare con l’Osservatorio. Una volta compreso il funzionamento del sistema Toscana, possiamo chiederci: che cosa succederebbe se gli togliessimo l’apporto dato da persone provenienti da paesi terzi? 

Mi viene in mente uno studio già fatto da IRPET sulla comunità cinese a Prato. Ne era emerso che senza cittadini di provenienza cinese, il PIL di Prato oggi calerebbe del 20%. Certo una parte appartiene alla comunità cinese stessa. Ma attraverso i consumi, una parte consistente viene trasferita a tutti i cittadini – e se i cinesi sparissero, i cosiddetti “Pratesi”, i cittadini italiani, sentirebbero la differenza.

 

Come se i cinesi di Prato non fossero altrettanto pratesi… 

Certo in questo genere di indagine bisogna stare attenti a capire cosa intendiamo quando parliamo di stranieri. Anche in questa nostra conversazione, abbiamo trattato stranieri e italiani come due categorie discrete ed omogenee, correndo il rischio di favorire una distinzione semplicistica e quasi razziale che ha controindicazioni. Ma sono convinto che in questo momento storico sarebbe altrettanto ingenuo non provare a tracciare una linea tra italiani e immigrati, e rinunciare a farne oggetto di ricerca. Saremmo gli unici che scelgono di non farlo: proprio noi che potremmo contribuire a far emergere tutto il bene che chi ricade nella categoria di “immigrato” sta dando agli altri cittadini d’Italia! Noi pensiamo che ne valga la pena, e cercheremo di avere una visione più ampia su questo contributo: per esempio indagando quanta parte del PIL e dei servizi pubblici in Toscana dipende dalla loro presenza come lavoratori e come imprenditori. 
Anche su questo i lavori devono ancora partire, ma una cosa già ora è certa: questo sistema non reggerebbe senza un numero adeguato di immigrati. Lo dice la piramide della popolazione di cui ti parlavo prima. Secondo le proiezioni al 2060 fatte da ISTAT la base continuerà a restringersi, anche contando chi è appena immigrato nel nostro paese e le persone che ci aspettiamo arrivino in futuro. 

 

Sta dicendo che se anche nei prossimi anni accogliessimo tutti gli immigrati che si presentano sul nostro territorio, il numero non basterebbe? Cosa dobbiamo fare, andarli a prendere? 

In effetti c’è chi già sostiene che andrebbero fatti dei veri e propri patti con i Paesi di origine, per andare a “prendere” ancora più immigrati. Ed è un’ipotesi da non escludere, perché già ne registriamo il bisogno. Certo questo gesto ha implicazioni di comando, perché si andrebbe a selezionare la qualità del flusso, e cioè a scegliere le tipologie di migranti che ci sono più congeniali. Ad ogni modo, una soluzione di questo tipo quindi riguarderebbe solo le politiche migratorie generali (quelle dedicate ai cosiddetti “migranti economici” per intenderci) e non le persone che vogliono chiedere asilo politico all’Italia. Per quanto riguarda la gestione delle richieste di protezione invece, i corridoi umanitari potrebbero essere una soluzione parallela. Ma forse per ora è meglio fermarsi qui. In fondo parliamo di questioni complesse che serve conoscere meglio, e che restano di competenza dei decisori politici eletti democraticamente.
Attraverso la nascita dell’osservatorio, speriamo soltanto di offrire una base informativa neutra ed esaustiva, che possa orientare nel modo più consapevole possibile le politiche territoriali. 

Non a caso la richiesta viene proprio dalla Giunta Regionale. C’è quindi un’attenzione della politica a questo tipo di osservazione e una richiesta di avere più dati, per andare oltre la semplice percezione di un fenomeno tanto complesso così da non prendere scelte di policy in termini irrazionali. 

 

 

(Foto da Youtube)