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A scuola di accoglienza: a Firenze la prima Penny Wirton all’interno di un istituto pubblico. Intervista a Ludovico Arte, Preside dell’Istituto Tecnico per il Turismo Marco Polo di Firenze

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

L’avvio sperimentale della scuola Penny Wirton nel capoluogo toscano diventa un sistema consolidato e innovativo per fare inclusione attraverso l’apprendimento della lingua italiana per i cittadini stranieri. Sono oltre 40 le scuole Penny Wirton, fondate dallo scrittore e insegnante Eraldo Affinati, che in Italia e in Svizzera sono caratterizzate dallo stile dell’insegnamento ai migranti uno a uno o per piccoli gruppi, curando in primo luogo la relazione personale. A Firenze l’iniziativa è partita dall’idea di un preside, Ludovico Arte, che ha visto tra i locali del suo istituto la possibilità di realizzare un luogo di conoscenza aperto a tutti.

Preside come nasce la proposta educativa dell’Istituto Marco Polo che ha visto un avvio sperimentale della scuola Penny Wirton al suo interno e che ora si è consolidato a tutti gli effetti?

La nostra Scuola è interessata alle attività di accoglienza e orientata all’ampio respiro culturale per tale ragione, grazie anche all’incontro con Eraldo Affinati abbiamo cominciato a maturare l’idea che si potesse aprire una Penny Wirton, mai realizzata sul territorio,  proprio all’interno del nostro istituto. Questo progetto, avviato ad aprile 2018, ha mantenuto le proprie caratteristiche di sistema: la gratuità per chi segue i corsi con un corpo docente a titolo volontario e il rapporto uno a uno, senza il classico lavoro in classe.

Questo pone il problema di trovare molti insegnanti, chi ha aderito a questa proposta didattica? Nella sua scuola i processi di peer education sono un elemento qualificante della propria azione educativa, siete riusciti a coinvolgere i ragazzi anche in questo caso?

Sono coinvolti insegnanti interni ed esperti esterni come per esempio alcuni docenti in pensione ma anche cittadini che hanno piacere di confrontarsi con questa esperienza. Ci sono, inoltre, studenti della scuola che rimangono al pomeriggio per svolgere i corsi di lingua come attività riconosciuta di scuola lavoro. Abbiamo ottenuto, così, uno spazio condiviso in cui adulti, insegnanti esterni e interni, ragazzi della scuola e non, migranti possono fare un percorso e un’attività di apprendimento insieme.

Chi segue i  corsi Penny Wirton ? Gli studenti del corso di lingua italiana vi vengono segnalati dalle associazioni del territorio?

Lavoriamo in rapporto con le scuole di lingua della Caritas che indirizzano gli studenti anche da noi ma abbiamo fatto un capillare lavoro di promozione di questa attività a livello territoriale con il volantinaggio e attraverso i social, quindi i migranti possono arrivare autonomamente o attraverso le varie associazioni che suggeriscono loro di recarsi presso il nostro plesso scolastico.

Come funziona il metodo e il rapporto tra gli studenti che si fermano ad insegnare e quelli che seguono il corso di italiano?

Ci sono vari tavoli di lavoro, uno a uno o a piccoli gruppi, in cui gli studenti della nostra scuola si dedicano all’insegnamento della lingua italiana, secondo le loro possibilità o supportati dagli insegnanti. Nessuno indaga la vita dei migranti che intendono fruire del corso ma, dal momento che il lavoro di apprendimento è libero, non impostato sull’insegnamento della grammatica tradizionale, a volte emergono le storia di vita. Si crea un tavolo di relazione condivisa, di alcuni sappiamo molto, altre volte non sappiamo nulla e il rapporto rimane strettamente legato all’insegnamento della lingua senza mettere in luce gli aspetti personali.

Aprire una Penny Wirton, con tutte le caratteristiche che ha spiegato fino ad ora all’interno di una scuola pubblica significa dare un segnale forte oltre ad avere una identità profondamente riconosciuta sul territorio, che ne pensa?

Penso che la scuola pubblica debba essere la scuola di tutti, ragazzi e adulti, ricchi e poveri , italiani e stranieri, dotati e meno dotati. Penso abbia il dovere di accogliere e la sua ricchezza stia proprio nel mescolare storie e persone diverse tra loro. Vogliamo mandare questo tipo di segnale proveniente da un’istituzione e sperare che, da qui, si contamini un pezzo di società importante come quella dei nostri studenti e delle loro famiglie in modo che possa poi circolare ad ampio raggio l’idea di una nuova società aperta. In questo particolare momento in cui si tende a creare muri vogliamo, dunque, mandare il messaggio in questa direzione: insegnanti e ragazzi mettono spontaneamente il loro tempo a disposizione dei cittadini stranieri che vogliono imparare l’italiano, è il modo di costruire in piccolo una società diversa. Anche il territorio sta contribuendo: è un luogo di vitale storia sociale che ha visto al nostro primo incontro sul tema la partecipazione di 40 persone.

Un po’ provocatoriamente mi permetta di chiedere come si può uscire dalla logica di quartiere, seppur virtuoso, per portare a questo progetto un’eco di maggiore impatto e anche di riflessione sulle caratteristiche della scuola pubblica in questo paese?

Le racconto, dunque, un aspetto a latere sull’esperienza Penny Wirton. Abbiamo realizzato un film sulla scuola che è stato selezionato al Festival del Cinema di Roma. Con il regista, che è stato con noi per un anno, abbiamo inserito nelle riprese le attività della Penny Wirton perché rappresenta l’ambiente accogliente e multiculturale della società che vorremmo. A breve, partirà una campagna di comunicazione sul film Marco Polo, realizzato per parlare di scuola in generale, ma la forza di quelle immagini rappresenta un vulnus dentro il mondo istituzionale, utile per far comprendere meglio che per noi la società manda questo segnale.

Si può aprire questa riflessione anche in questo momento storico in cui dilaga il linguaggio di odio come tratto distintivo della società attuale? La Scuola cosa può fare secondo lei?

Penso che le scuole debbano schierarsi, prendere una posizione in favore di un’idea di educazione, di scuola e di società ben precise. Bisogna decidere da che parte stare. La nostra scuola ha fatto diverse scelte: per esempio quella di non fare entrare i cani antidroga dentro l’istituto perché non credo sia il modo corretto per contrastare l’uso di sostanze tra i ragazzi. E sulla falsa riga esistono una serie di scelte forti se una scuola ha deciso di portare avanti l’idea di scuola pubblica e di società inclusiva. In tal senso, la proposta della Penny Wirton prende posto rispetto ad una discussione attuale in Italia contro chi vuole creare barriere all’accoglienza utilizzando il motto l’Italia agli italiani. Prende posto con la sua proposta secondo cui lo stare tra persone diverse, faccia crescere persone migliori. Aggiungo che, con l’esperienza di questi anni, potrei raccontare alcuni comportamenti negativi degli studenti, dagli episodi di bullismo all’utilizzo di sostanze ma non potrei descrivere nessun atto di razzismo vero a scuola. I ragazzi in classe sono naturalmente accoglienti e non vivrebbero l’intolleranza se non ci fossero gli adulti che la fomentano attraverso i linguaggi di odio. È una generazione che conosce l’Europa e si relaziona senza complicanze con i ragazzi del mondo. La scuola deve contribuire ad andare in questa direzione, noi stiamo provando a farlo.
I corsi si tengono il martedì e il giovedì in orario dalle 15.00 alle 17.00. Tutte le informazioni sulla scuola Penny Wirton sono disponibili sulla loro pagina web 

 

Foto tratta da: ittmarcopolo.edu.it