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Prevenire e curare la condizione di sfruttamento: la presa in carico integrata del progetto di L’Altro Diritto “La costituzione in azione”

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Riprende in questo numero il nostro lavoro di approfondimento dei 40 progetti zonali finanziati dal Bando regionale per la tutela dei bisogni essenziali, oggi concentrato su un tema che di recente è stato al centro del dibattito politico e mediatico: il contrasto al lavoro nero e allo sfruttamento. In queste settimane infatti si è parlato molto della misura di emersione dei rapporti di lavoro contenuta nell’articolo 103 del Decreto Rilancio Italia, di cui abbiamo provato a passare in rassegna alcuni punti di forza e punti di debolezza. Ma basta davvero attivare un percorso di emersione del lavoro nero per far uscire i cittadini di paesi terzi dalla morsa dello sfruttamento? E quali strumenti complementari si può pensare di impiegare per garantire risultati sostenibili?  
 
In questa direzione vanno gli sforzi del Centro di ricerca universitario Altro Diritto, che dal 2003 si dedica al tema dello sfruttamento e che proprio in questi mesi ha sperimentato soluzioni per l’emersione di rapporti di lavoro sfruttanti con il progetto “La Costituzione in Azione”, finanziato dal bando regionale per la tutela dei bisogni essenziali. 
 
Il progetto infatti è dedicato ad un piano di contrasto dello sfruttamento a tutto tondo, attraverso un percorso personalizzato di presa in carico integrata nato dagli sforzi comuni di Altro Diritto, Coop 22, e CGIL Firenze, che coinvolge i cittadini di paesi terzi delle zone Fiorentina Nord-Ovest, Fiorentina Sud-Est, Pistoiese e Pratese. Un vero e proprio meccanismo di integrazione socio-lavorativa, sviluppato nell’ambito di un percorso di co-progettazione che ha affiancato alle attività di supporto legale un ampio ventaglio di moduli attivabili per l’inserimento lavorativo e socio-abitativo - come il bilancio delle competenze e preparazione del CV, accoglienza in strutture dedicate, insegnamento italiano L2 e attività di matching con soggetti del profit. 
 
“Il progetto è nato con l’obiettivo di fare fronte agli effetti disastrosi del Decreto Salvini” racconta il professor Emilio Santoro, direttore di Altro Diritto, “perché l’abolizione della protezione umanitaria aveva lentamente iniziato a produrre irregolarità per chi fuoriusciva o era già uscito dai centri di accoglienza. Avevamo a disposizione un’enorme messe di dati sul fatto che i richiedenti asilo fossero, anche per questo motivo, tra i soggetti più esposti ai rischi dello sfruttamento lavorativo. La lunghezza del processo di esame della domanda di protezione internazionale che può sfociare dopo anni in una condizione di irregolarità, unita ad una situazione di emergenza abitativa, crea le precondizioni ideali per cadere nei circuiti del lavoro nero e del caporalato agricolo, del tessile e dell’edilizia”. 
 
Proprio per questo il progetto si è avvalso della collaborazione dei centri di accoglienza CAS e SIPROIMI e di una rete di patronati e sportelli per l’immigrazione attivi nelle zone interessate. Il meccanismo si è dotato così di uno sguardo duplice, volto a ‘prevenire’ e ‘curare’ il lavoro sfruttato. “Da un lato abbiamo cercato di intercettare chi era in via di fuoriuscita dai centri” spiega Santoro “e dall’altro di svuotare le sacche di vulnerabilità già create, offrendoci come alternativa a quelle persone già in piena condizione di sfruttamento e con permesso in scadenza che si rivolgevano ad uno sportello, senza che questo potesse offrire loro troppe soluzioni dal punto di vista legale.”
 
Un’alternativa, quella offerta, che va necessariamente oltre la semplice regolarizzazione. Tra gli obiettivi primari del progetto La Costituzione in Azione c’è quello di consentire alle persone sfruttate di ottenere un permesso di soggiorno anche ricorrendo all’ex-articolo 18, il permesso di protezione sociale per vittime di sfruttamento. “Ma quella dell’ex-articolo 18 è una pratica molto complessa” spiega il professor Santoro “che tendenzialmente permette di ottenere un permesso in tempi ragionevoli solo se c’è una denuncia verificata dello sfruttamento lavorativo, perché questa è la prova più concreta che si possa produrre. Ma la denuncia non è certo una scelta facile. E’ chiaro che se a un lavoratore sfruttato non si dà una reale alternativa percorribile, il lavoro sfruttato è meglio di niente. Anzi, in mancanza di questa alternativa, spingere per una denuncia vorrebbe dire fargli un torto: la persona che cerco di aiutare mi vedrebbe giustamente come una minaccia, perché gli tolgo un lavoro che, per quanto sfruttato, è pur sempre un lavoro. E’ per questo che abbiamo deciso di costruire un progetto alternativo, che poggi su una rete ampia e varia di soggetti del no-profit e di industrie e produttori per affiancare al percorso di regolarizzazione anche un percorso di inserimento socio-lavorativo. Volevamo creare un percorso che potesse offrire a chi denuncia una reale alternativa di vita. Perché essere regolari è importante, ma solo con un permesso di soggiorno non si mangia”.
 
Ed è questo, secondo il professor Santoro, uno dei rischi dell’attuale sanatoria. “Non dobbiamo dimenticarci che, prima degli effetti tristemente noti del Decreto Salvini, la maggior parte delle persone sfruttate in Italia erano regolari, e che le due persone morte di sfruttamento in agricoltura erano cittadini italiani. E’ chiaro quindi che regolarizzare le persone non sarà sufficiente” spiega il professore, “perché lo sfruttamento si impedisce solo se al lavoro sfruttato si contrappone un lavoro dignitoso. In questo senso neanche la migliore sanatoria può risolvere il problema, se non le si affiancano misure come quella che, pur su scala ridotta, stiamo sperimentando noi.” 
 
Il progetto ha già intercettato il bisogno di oltre 60 persone, che sono state prese in carico con l’attivazione di moduli in base alle esigenze di ciascuno. Ad oggi, i percorsi di inserimento lavorativo hanno inevitabilmente subito una battuta d’arresto in seguito alle difficoltà economiche, dovute al lockdown, di molte delle imprese partner. Ma in questo periodo di graduale riapertura, la speranza è quella di poter tornare a lavorare, e di usufruire al meglio delle possibilità offerte dalla nuova sanatoria proponendosi come una ‘terza via’ che ne possa arginare i rischi.