Lo sportello di tutela antidiscriminatoria di AdirMigranti: un modello trasferibile per il contrasto allo sfruttamento lavorativo - #Accoglienza Toscana
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Lo sportello di tutela antidiscriminatoria di AdirMigranti: un modello trasferibile per il contrasto allo sfruttamento lavorativo
Una delle dimensioni più problematiche dell’anti-discriminazione è la difficoltà di intercettare il bisogno di chi ogni giorno subisce nel silenzio fenomeni discriminatori. Come arrivare ad ascoltare la voce di chi una voce non ce l’ha?
A questa domanda trova risposta lo sportello “Diritti Migranti” Adir Migranti, il progetto promosso da Regione Toscana e Anci Toscana anche nell’ambito del progetto FAMI Savoir Faire.
Obiettivo dello sportello di consulenza giuridico legale è quello di monitorare e contrastare tutti i tipi di discriminazione, sfruttamento lavorativo e violazione dei diritti che avvengono o sono avvenuti ai danni di cittadini di Paesi terzi. Lo sportello offre una consulenza giuridica di secondo livello che coniuga un servizio di presa in carico della persona, un servizio di informazione giuridica sul diritto degli stranieri, e un servizio di contrasto allo sfruttamento lavorativo.
A queste linee di intervento si aggiunge un servizio di consulenza giuridica specializzata a supporto di tutti gli operatori e le operatrici degli sportelli che offrono assistenza e supporto a cittadini di origine straniera sul territorio toscano, attivi presso amministrazioni comunali, associazioni sindacali, e nell’ambito del privato sociale.
Attraverso il portale “Diritti Migranti” è accessibile anche la sezione #ionondiscrimino”, per la raccolta di domande su casistiche complesse e per la diffusione dei contenuti di maggiore utilità e delle casistiche più ricorrenti o più significative. La consultazione delle FAQ e delle casistiche è di libero accesso, mentre per porre eventuali quesiti è necessaria l’iscrizione alla piattaforma, a titolo gratuito.
“La tutela secondaria è il vero punto di svolta per quel processo che gli inglesi chiamano giurisdizionalizzazione dei diritti” ha raccontato Sofia Ciuffoletti del centro universitario Adir-Unifi al convegno “Lavoro, impresa e moneta complementare. Modelli e pratiche per l’inclusione sociale ed economica dei cittadini di paesi terzi”, l’evento conclusivo del progetto FAMI Savoir Faire di Regione Toscana e Anci Toscana.
“I diritti non esistono solo su carta, ma quei diritti li puoi azionare. Il diritto è un fenomeno sociale. E’ quel che permette di convertire i guai privati delle persone in questioni pubbliche. La nostra ricerca comparata mostra come Regione Toscana su questo abbia una lunga tradizione di anti-discriminazione, un modello che va portato avanti”.
Trasferire il modello: l’antidiscriminazione come prassi locale
Uno progetto composito quindi, che mira a contrastare su più livelli le numerose forme che il fenomeno discriminatorio assume, e che spesso concorrono nell’ostacolare l’inclusione sociale, economica e culturale dei cittadini di paesi terzi.
Ma come trasferire questo modello in altri contesti territoriali diversi da quello toscano? Proprio la dottoressa Ciuffoletti ha cercato di rispondere a questa domanda, attraverso una ricerca concentrata sulle buone pratiche dell’anti-discriminazione in Toscana.
“Qualcuno diceva che ‘siamo tutti situati’. E anche questo sportello, funziona solo se è ben adattato al particolare contesto territoriale in cui opera. Ogni pratica si inserisce in una comunità di operatori e operatrici che lavorano insieme, si confrontano e negoziano il significato di termini come ‘dignità’, che non sono per niente autoevidenti. Ogni contesto territoriale è fluido e in continuo movimento. Trasferire il modello da un contesto territoriale all’altro è delicato, non si può importare forzosamente.”
In particolare, il meccanismo di trasferibilità spiegato nel report di Adir si basa sulla procedura della compatibilizzazione. “Il modello deve essere rimpastato e reso coerente con il nuovo contesto territoriale, che se ne deve appropriare” continua la dottoressa Ciuffoletti, “perché i fenomeni sociali si manifestano all’interno di comunità che vanno comprese a fondo, pena l’impossibilità di adottare una prospettiva giuridica.”
Un fenomeno complesso: l’identità di genere e la necessità di un approccio intersezionale
In futuro, si prevede di dotare lo sportello di strumenti dedicati alle discriminazioni di genere, in un’ottica intersezionale. “L’esperienza di osservazione dello sportello ci conferma quel che già si sapeva nella teoria, e cioè che i guai non vengono mai da soli” spiega la dottoressa Ciuffoletti. “La discriminazione è un fenomeno pervasivo e spesso si verifica sotto la forma delle cosiddette discriminazioni multiple. Anche per questo vogliamo riuscire a considerare l’aggravio legato al fattore dell’identità di genere.”
Un approccio questo che è tanto sfidante quanto necessario anche secondo il professor Federico Faloppa, della University of Reading. “Parliamo di discriminazione addittiva quando nella stessa occasione si addensano alcuni elementi discriminatori” ha spiegato Faloppa al convegno di Savoir Faire, “mentre parliamo di discriminazione intersezionale quando i fattori sono così intricati che persino chi la subisce fatica a distinguere gli elementi che stanno alla base della discriminazione. Racconta Kimberlé Crenshaw che quando le donne nere venivano licenziate negli USA degli anni ‘80, non sapevano dire se questo avvenisse perché erano donne, o perché erano nere. In casi come questo occorre da parte degli operatori un grandissimo lavoro di sensibilità, analisi e ascolto per dipanare la matassa”
Un investimento per tutti
“Ai rischi di discriminazione e disparità di trattamento che caratterizzano le relazioni tra cittadini di paesi terzi e Istituzioni corrisponde un rischio analogo, nei servizi sociali, di disequilibrio tra assistito e assistente” ha raccontato Alessandro Salvi, dirigente di Regione Toscana. “Questo è ancor più rischioso se consideriamo che circa la metà degli utenti dei servizi sociali sono persone straniere. Dobbiamo quindi individuare dei vaccini a questo problema, non solo delle cure. Progetti FAMI come Savoir Faire, Commit e Teams hanno questo in comune: ci aiutano a comprendere meglio certe dinamiche relazionali sottili. E così possiamo affinare pratiche di sperimentazione e di sviluppo che potranno contagiare positivamente il resto della rete dei servizi. Se con le Zone Distretto, le SdS, le ASL, i Comuni riusciremo a consolidare un sistema di segretariato sociale sempre più efficace, lo dovremo anche a queste sperimentazioni.”
Scopri di più sul progetto FAMI Savoir Faire cliccando qui