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Stamperia Sociale Ginger Zone: l’inclusione socio-lavorativa dei minori stranieri non accompagnati torna in presenza

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Ci vediamo online o in presenza? Gli ultimi anni hanno imposto nuovi modi di conoscersi, e hanno fatto scoprire a molte persone la videoconferenza. Una modalità che sicuramente sta mostrando i suoi lati positivi in tanti frangenti, ma che ha anche degli indubitabili lati negativi. Ci sono cose che si possono fare solo in presenza: una tra tutte, incontrare qualcuno che non sia arrivato su invito. Come fare a promuovere una società aperta, senza prima aprire gli spazi? Per questo, per molti enti del terzo settore i luoghi fisici sono rimasti fondamentali per promuovere la coesione sociale - come modo per spalancare le porte e incontrare persone nuove che non ti aspetti.

Una di queste porte ce l’hanno aperta Zein Parvez, Tufazzal Hossen e Ujjol Hossen, che abbiamo intervistato insieme a Gianni Gravina e Francesca Di Giuseppe del COSPE. Sono questi i nuovi protagonisti del progetto Stamperia Sociale del Ginger Zone - Laboratorio di Creatività Urbana di Scandicci, lo spazio che oggi, dopo due anni di pandemia, ha riaperto i battenti al pubblico.

 



La Stamperia Sociale è un progetto di inclusione socio-lavorativa che coinvolge minori stranieri non accompagnati e offre al territorio servizi estremamente diversificati: dalla stampa su tessuti per la creazione di abbigliamento personalizzato, alla realizzazione di adesivi, banner e manifesti. L’iniziativa è possibile grazie alla condivisione di intenti di quattro attori principali: il Comune di Scandicci, il capofila del progetto Cospe, il Consorzio Pegaso e Fondazione Finanza Etica, insieme alla cooperativa Oltre il Ponte che gestisce la stamperia sociale. Grazie al finanziamento del programma “Never Alone, per un domani possibile” di Fondazione Cariplo, questi cinque alleati oggi possono darsi l’obiettivo di promuovere una società aperta ed inclusiva per contribuire a ridurre il numero di persone in condizione di marginalità sociale.


Tre sono i filoni principali di lavoro del Ginger Zone: la socializzazione, l’insegnamento della lingua italiana e l’inserimento socio-lavorativo con le attività imprenditoriali della stamperia e di una ciclofficina.

“Siamo entrati in questo spazio nel dicembre 2019” spiega Gianni Gravina, referente COSPE del progetto. “Capisci bene che abbiamo subito sofferto dell’esplosione della pandemia, e dell’impatto dirompente che questa ha avuto sulle nostre attività e sulla macchina burocratico-amministrativa che voleva sostenere questo progetto”. Un momento complicato, che ha imposto un ripensamento delle attività. “Come molte associazioni ed enti del terzo settore, abbiamo continuato a insegnare l’italiano in modalità in remoto, con tutte le difficoltà del caso” continua Gianni. “È stato importante farlo. Ma abbiamo dovuto frenare con le attività di socializzazione e con i percorsi di inclusione socio-lavorativa, che molto hanno a che fare con l’incontro diretto: del vicinato, di nuovi amici, ma anche di potenziali clienti della stamperia e della ciclofficina che è importante trovare, incontrare, coinvolgere. Ora finalmente possiamo ampliare il progetto, e ripartire con i laboratori di lingua, di falegnameria e altre attività in presenza.” 

 

 

Quello di Ginger Zone è un programma ambizioso che, dopo anni di limitazioni dovute alla pandemia, oggi continua a puntare tutto sullo spazio fisico: un bene comune situato nel cuore di Scandicci, che il progetto ha recuperato insieme alla facoltà di Architettura dell’Università di Firenze e ha destinato a nuovo uso.

“Abbiamo pensato di proporre un luogo fisico come luogo di socializzazione, di formazione, di cittadinanza attiva, di elaborazione di idee ed iniziative dei giovani.” spiega Francesca Di Giuseppe, operatrice del progetto. “E quando parlo di giovani, intendo tutti i giovani: minorenni e maggiorenni, con o senza background migratorio. Chi lavora nel settore sa che non è sempre cosa facile. L’aspirazione dei giovani a volte va stimolata, e poi però devi essere pronto ad accoglierla. Avevamo in mente un luogo di continuo confronto e ascolto, un luogo abilitante. E per questo serve essere presenti personalmente, fisicamente.”
 


Dal 2019 ad oggi il Ginger Zone ha coinvolto più di 200 persone tra minori stranieri non accompagnati e cittadini di paesi terzi. Tra questi anche Zein Parvez, Tufazzal Hossen e Ujjol Hossen, che lavorano alla stamperia.

Tufazzal Hossen ha 18 anni, viene dal Bangladesh ed è qui in Italia da un anno. Quando arriviamo, lo troviamo alle prese con un programma di grafica professionale. “Quando siamo arrivati qui 6 mesi fa non sapevamo come usare queste macchine e questi programmi: sono molto complicati. Ma stiamo imparando a farlo. E impariamo anche l’italiano: ci serve molto, per trovare nuovi clienti ma anche per parlare con i tecnici della ditta che ci ha portato la stampante”.

 


Ujjol Hossen ha 18 anni, viene dal Bangladesh. “La cosa che mi è piaciuta di più? Sicuramente fare le foto. Per promuovere la stamperia abbiamo fotografato i murales di Scandicci. Così sono nate le nostre t-shirt e le nostre felpe. E poi ci siamo fotografati, per promuoverle. Abbiamo fatto dei volantini, che adesso distribuiamo per la città, in cerca di nuovi clienti.”  

 

Un’attività tanto seria quanto divertente, che ha permesso di creare un gruppo di lavoro sereno. “Prima di incontrarci qui, non ci conoscevamo” continua Ujjol. “Ma ora, dopo 6 mesi di lavoro, siamo già diventati amici!”

Anche Zain ha 18 anni e viene dal Pakistan. Nel Ginger Zone racconta di aver trovato un modo per conoscere meglio gli altri cittadini, e di seguire il suo sogno. “Amo molto Firenze e le persone italiane. Sono troppo buone. Troppo! Fino ad oggi ho vissuto in 3 paesi. Questo è il posto dove vedo il mio futuro. Ci vorrà molto impegno: forse non ce la farò oggi, e neanche domani. Ma alla fine, sogno di diventare un grande uomo d’affari. Come Bill Gates!”.

 

Oltre al Comune di Scandicci e altre pubbliche amministrazioni dell’Area Metropolitana Fiorentina, la rete coinvolge vari stakeholders territoriali: associazioni, centri culturali, aziende e gli enti gestori dell’accoglienza come Diaconia Valdese Fiorentina, Caritas ed altre, che hanno trovato nel progetto un’opportunità in più per i ragazzi che vivono nelle loro strutture. E punta ad ampliarsi.

“Tra le nostre collaborazioni anche Arci Firenze, C.BIO, l’Officina A Piede Libero, e per quanto riguarda il torneo di Calcio del progetto Ginger il C.S.Lebowski ” racconta Francesca Di Giuseppe, operatrice del Ginger Zone. “Ma anche alcuni clienti che si avvalgono dei nostri servizi di stampa, come la Cooperativa Ulisse, la Fondazione Toscana Spettacolo onlus, Robin Food, La Comune Cooperativa Urbana di Comunità, Diaconia Valdese Fiorentina, Ass. Gli Anelli Mancanti. Nei prossimi mesi lavoreremo per sollecitare e promuovere il coinvolgimento di tutti gli attori sociali ed economici del territorio, anche quelli che ancora non ci conoscono. Così faremo in modo che il patrimonio di competenze, risorse, capitale umano e sociale rappresentato dai giovani e le potenzialità del territorio si incontrino verso lo sviluppo e la crescita reciproca”. 

 

 

Le t-shirt e felpe realizzate all’interno della stamperia sociale raffigurano foto scattate dai ragazzi ai murales della struttura, opera di street artist fiorentini, con tessuti certificati realizzati nel rispetto dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori.

Per avere informazioni sui servizi della Stamperia Sociale ed acquistare i prodotti realizzati, è possibile scrivere a stamperia@gingerzone.it, o contattare la stamperia tramite la pagina Facebook, Instagram o il sito web www.gingerzone.it/stamperiasociale.

Una comunità di pratica per l’inclusione sociale di tutti e tutte. Intervista ad Andrea De Conno di Federsanità - Anci Toscana

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)
La Comunità di pratica sull’inclusione sociale in Toscana è nata quasi due anni fa su intuizione di Regione Toscana, Federsanità - Anci Toscana, con il contributo scientifico dell’Istituto di Ricerca Sociale IRS.

È un luogo, per ora virtuale, che viene incontro alla necessità delle istituzioni di instaurare forme di dialogo diretto con i territori - per fare in modo che le pratiche territoriali, illuminate in una cornice teorica e di confronto, possano diventare la base e la linfa vitale della programmazione delle politiche di inclusione in Toscana. Animata da più di 100 operatori dei servizi territoriali di tutta la regione, questa iniziativa ha come obiettivo principale quello di valorizzare le esperienze territoriali sviluppate  a livello locale, e fare in modo che queste incontrino le linee tecniche di livello nazionale e regionale. Uno sforzo metodologico importante che guarda al superamento delle divisioni settoriali, per garantire i diritti di tutte le persone vulnerabili o a rischio vulnerabilità, tra cui ovviamente anche quelle con background o vissuto migratorio. Ma come è nata, quale direzione sta prendendo e in che modo potrà favorire? Ne abbiamo parlato con Andrea De Conno di Federsanità - Anci Toscana, che fungerà da portavoce di un collettivo di colleghi e colleghe che ha lavorato all’iniziativa. 


“Inclusione sociale” è un termine che, per fortuna, oggi viene usato sempre più di frequente. Eppure resta di difficile definizione. Quale punto di vista assume la comunità di pratica di Regione Toscana?


Direi non uno soltanto, ma più punti di vista. Ed è inevitabile che sia così: non solo perché l’esclusione sociale e la povertà sono fenomeni di natura multidimensionale.  Ma anche perché è fondamentale che il percorso stesso della comunità di pratica possa assumere via via curvature diverse in base alle priorità che emergono dal confronto tra partecipanti.

Il primo anno la comunità di pratica era concentrata sulla misura del Reddito di Cittadinanza, e quindi in senso più ampio sui processi di impoverimento e le misure di contrasto alla povertà che l’esperienza pandemica ha fatto emergere con più forza. In questo ultimo anno la comunità si è mossa verso gli interventi di inclusione sociale delle famiglie in situazione di vulnerabilità. Abbiamo affrontato anche il rapporto tra i processi di presa in carico tipici del Reddito di Cittadinanza e quelli del programma nazionale P.I.P.P.I [Programma di Intervento per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione, dedicato ai minori, NdR], grazie al coinvolgimento del Centro Regionale Infanzia e Adolescenza. E ancora: in questo secondo semestre del 2021 siamo arrivati a includere l’agenzia del lavoro regionale ARTI sui temi dell’inclusione che riguardano il complesso dialogo tra sociale e lavoro. 


A chi è dedicato questo percorso?


Prevalentemente a referenti zonali e operatori dei servizi pubblici territoriali. Anche in questo la comunità di pratica è fluida e in evoluzione, perché la tipologia di tecnici e operatori che arriviamo a includere cambia anche in base alla curvatura tematica che intendiamo seguire. Dopo il Centro Infanzia Adolescenza, gli assistenti sociali dedicati al programma P.I.P.P.I. e in generale ai minori, oggi coinvolgiamo assistenti sociali e operatori dei Centri per l’Impiego. Proprio in questi giorni ad esempio registriamo la necessità di fruire anche dell’apporto degli operatori dei servizi socio-sanitari: e quindi ci confronteremo per capire come coinvolgerli e camminare in una direzione comune.

Ahimé in Italia abbiamo ancora un welfare di impronta fortemente categoriale. Per questo è ancora più importante farsi contaminare il più possibile dalle esperienze altrui, così da seguire davvero un orizzonte comune. “A chi ci vogliamo aprire ora?” è una domanda complessa a cui troviamo risposta nel confronto tra Regione Toscana, Anci Toscana, e IRS - ma anche a partire dalle stesse sollecitazioni interne alla comunità di pratica e agli stimoli dell’Osservatorio Sociale Regionale. 


Un luogo di sviluppo della multidimensionalità e della multiprofessionalità, quindi.


Assolutamente. E la sua stessa struttura ne è la dimostrazione. In genere prevediamo un incontro iniziale in cui lanciamo i temi della comunità di pratica, con gli assessori regionali competenti. Poi però il percorso si divide in tre appuntamenti distinti, uno per ciascuna area vasta: si creano così tre gruppi da 30 persone circa in Toscana Nord-Ovest, Toscana Centro, Toscana Sud-Est. Perché questo, ti chiederai. Perché la comunità di pratica non è il contesto seminariale in cui c’è un esperto che parla e gli altri ascoltano zitti. Ma si cerca di stimolare l’emersione delle esperienze locali delle zone.

E così ragionare nel perimetro di una stessa area vasta permette agli operatori di mettere a confronto più facilmente la propria esperienza nei momenti laboratoriali…

Di più: ci permette di promuovere l’autocandidatura dei partecipanti come speaker degli interventi frontali stessi. Ti faccio un esempio. Qualche giorno fa abbiamo lanciato una call nelle tre aree vaste: “Chi vuole partecipare alla comunità di pratica e presentare la propria esperienza di commistione tra assistenti sociali e Centro per l’Impiego?” Due, tre, quattro referenti delle zone-distretto di ciascuna area vasta si sono presentati. E presto racconteranno la loro esperienza agli operatori delle zone vicine. A seguire, tutti potranno ‘rimasticare’ gli interventi nei gruppi di lavoro. È quello che chiamiamo “apprendimento collettivo partecipato”.

A sostenere maggiormente il processo di confronto la Comunità di pratica si è dotata di una piattaforma web che raccoglie non solo i materiali dei laboratori, ma anche una newsletter periodica redatta da IRS che aggiorna i partecipanti sul dibattito normativo, culturale, operativo in corso a livello nazionale e collegata a Welforum, l’Osservatorio Nazionale sulle Politiche Sociali. La piattaforma è anche luogo di scambio tra i partecipanti alla comunità di pratica e deposito di norme, atti, esperienze.

È impressionante il potenziale che un’iniziativa come questa può avere in termini di sviluppo delle competenze. Ma quello che emerge in ciascun incontro viene anche diffuso? Oppure ‘quel che accade nella comunità di pratica resta nella comunità di pratica’? 


Mi fai una domanda molto importante. Certo anche soltanto la crescita professionale di chi partecipa agli incontri potrebbe dirsi un risultato soddisfacente. Ma con tutta l’attenzione prestata all’adozione di metodologie per favorire l’emersione di bisogni, colli di bottiglia, aree grigie, errori da non ripetere, strategie vincenti… sarebbe un peccato fermarsi qui. Per questo la comunità di pratica ha come obiettivo esplicito anche quello di rilanciare le evidenze che emergono dagli incontri territoriali, con una diffusione nei think-tank di livello nazionale ma anche con affacci mirati ai luoghi e ai processi delle politiche regionali - perché queste evidenze possano informare i livelli decisionali più alti del sistema di governance socio-sanitario in Toscana. Insomma: la comunità di pratica non è il luogo dove si prendono decisioni. Ma è uno strumento utile per chi è deputato a farlo.
 

Stiamo parlando della programmazione di livello regionale?
 

Primariamente. Per questo Regione Toscana ha istituito un tavolo ad hoc per l’inclusione regionale cui si affacciano le diverse Direzioni regionali. Un organismo di coordinamento e raccordo tra comuni e zone, che è presieduto dall’Assessorato regionale al sociale, da Anci Toscana e da un referente per ciascuna zona-distretto, partecipato anche dall’Assessorato al Diritto alla salute e alla sanità, e dall’Assessorato all’istruzione. Un luogo su cui si affacciano tutte le Direzioni che possono avere un impatto sulla multidimensionalità della povertà come quelle al lavoro, all’istruzione, e alle politiche abitative - e che è anche aperto alla consultazione di organismi pubblici e rappresentanti del terzo settore e parti sociali impegnate nel contrasto della marginalità. Un luogo che può intercettare i segnali della comunità di pratica e tracciare le politiche, e dove ci si può dedicare al paziente lavoro di cucitura tra servizi fondamentali per la persona - come ad esempio gli strumenti e le misure dell’inclusione sociale e quelli dell’inclusione lavorativa. Ma anche la cucitura tra altri servizi fondamentali per la persona.


Puoi fare un esempio di questo raccordo?


Senz’altro, in questi giorni, l’esempio migliore sono i Progetti Utili alla Collettività del Reddito di Cittadinanza: delle attività pensate come obbligatorie per i beneficiari del Reddito di Cittadinanza che rischiano di entrare in logiche di sdebitamento ma che, con il coinvolgimento  delle comunità territoriali e anche dei Centri per l’Impiego, possono anche diventare occasioni  per acquisire competenze lavorative importanti. Ma potrei nominare altri progetti che in molte zone stanno diventando una palestra di integrazione orizzontale tra servizi. Queste ricuciture iniziano al livello territoriale, ed è normale che sia così: quale stimolo migliore per superare le divisioni settoriali se non la voce di quegli operatori ed operatrici della Comunità di Pratica, che ogni giorno incontrano persone uniche al mondo che cercano di tutelare attingendo a questa o a quella linea di finanziamento, come sarti che preparano un cappotto su misura? Cambia il girovita, cambiano le stoffe, ma le mani che cuciono spesso sono le stesse e il nemico è sempre uno: il freddo cane che fa fuori se stai troppo scoperto. Però, è importante che questo primo impulso possa propagarsi e tradursi in uno sforzo fatto su altri livelli di governance. Ed è questo che Regione Toscana sta facendo con una lodevole lungimiranza.


E i cittadini di paesi terzi? C’è posto anche per loro in questo ragionamento?


Ovunque, per questo stesso motivo. Perché i problemi a cui la comunità di pratica e il tavolo si dedicano, o meglio i diritti fondamentali che vogliono garantire, appartengono a tutte le persone che permangono sul nostro territorio - comprese quelle con un vissuto migratorio più o meno recente. E infatti uno dei momenti di approfondimento proposti nell’ambito della comunità di pratica è stato proprio dedicato al tema specifico delle politiche di accoglienza. Su questo, le iniziative di livello regionale, zonale e comunale sono tante. Sempre sul tema del lavoro e del sociale ad esempio, ANCI Toscana e Regione Toscana hanno già fatto tantissimo e in modo molto proficuo, attraverso i progetti TEAMS e COMMIT, o con il lavoro di analisi dei progetti realizzati grazie al cosiddetto “bando coesione sociale”. Lo stesso si può dire degli sforzi fatti dai progetti Includ-EU e Savoir Faire per quanto riguarda l’inclusione abitativa ed economica. 

E sebbene misure importanti come il Reddito di Cittadinanza abbiano ancora requisiti limitanti [10 anni di residenza comprovata, di cui gli ultimi 2 in modo continuativo, NdR], più arrivabili sembrano essere altre iniziative recenti come ad esempio l’assegno universale per la famiglia, che entrerà in vigore a marzo 2022 e sarà accessibile a tutte le famiglie che sono in Italia da 2 anni anche non continuativi. Anche prendendo i cittadini di paesi terzi come punto di riferimento, la sfida di oggi sembra essere la stessa: fare in modo che ci siano orizzonti di servizi, percorsi e processi che siano attivabili a prescindere dalle categorie sociali in cui si ricade.


Insomma categorizzare i diritti, prima delle persone.


Sì, ma stando sempre attenti anche a promuovere luoghi di sintesi dei percorsi. Come gli one-stop shop: sportelli unici in grado di riconoscere e rispondere a tutte le asimmetrie. Oggi la comunità di pratica si muove verso questo nuovo tipo di approccio, camminando con le gambe degli operatori. Che in questo, come in altre cose, vedono molto lontano.

Dicevi che i risultati della comunità di pratica possono essere masticati “primariamente” a livello regionale. Ci sono altri livelli del sistema socio-sanitario toscano dove questa cucitura è possibile?


Naturalmente sì: c’è un luogo in particolare in cui l’integrazione tra servizi non è solo un’occasione, ma una vera e propria necessità. Sto parlando delle zone-distretto, e dei processi di programmazione delle politiche sociali,  socio-sanitarie, sanitarie in un’ottica di promozione della Salute contenute nei Piani integrati di Salute Zonali; qui saranno fondamentali anche i risultati di un’altra iniziativa che vede insieme Regione Toscana, Federsanità - Anci Toscana e IRS: la comunità di pratica dedicata al tema specifico della programmazione.

La programmazione zonale in fondo nasce per questo, giusto? È la zona-distretto il luogo principale in cui confluiscono le risorse per l’inclusione.

E non sono mai state così tante. Soltanto limitandosi alle materie di cui ci siamo occupati, contiamo:

- PON Inclusione (servizi sociali): 1,2 miliardi; 

- FEAD (principalmente dedicato al sostegno alimentare) 0,8 miliardi, hanno ancora una coda residuale (circa 0,4 miliardi) da impiegare entro il 2023 e vedranno una conferma nella programmazione 2021-2026 verosimilmente dentro un unico programma PON Inclusione, di cui si è avviata la programmazione, con una dotazione significativamente superiore alla somma dei due programmi precedenti; 

- REACT-EU, inserite nella coda della programmazione PON Inclusione e FEAD 2014-2020, per un ammontare pari a 90 e 190 milioni rispettivamente; 

- POC Inclusione, il Piano operativo complementare finanziato con le risorse derivanti dall'aumento del cofinanziamento europeo e dall'utilizzo di circa 250 milioni del PON Inclusione per spese legate al Covid: 300 milioni; 

- PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, per tre specifici interventi sul sociale a regia nazionale concernenti interventi in ambito socio-sanitario, interventi di sostegno alle persone con disabilità e intervento di contrasto alla povertà estrema: 1,45 miliardi. 


Una grande occasione, che però va saputa cogliere. Per non lasciare indietro nessuno. 

Scopri di più sul portale web della comunità di pratica
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Inclusione abitativa, parlano gli utenti: l’importanza della relazione

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Quello per la promozione dell’autonomia dei richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale è un percorso lungo e complesso, che richiede di mettere la persona al centro di un’offerta composita di servizi in materia linguistica, lavorativa, abitativa per rispondere a bisogno che spesso trascendono i tempi tradizionali previsti per la prima e seconda accoglienza. Ma come fare a mettere i cittadini di paesi terzi davvero al centro della ricerca di soluzioni abitative adeguate? 

A questa domanda cerca risposta il progetto pilota di Anci Toscana per Includ-EU: Regional and local expertise, exchange and engagement for enhanced social cohesion in Europe, capofilato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) che mira a sviluppare un nuovo modello per rispondere alle esigenze abitative temporanee di quei cittadini di paesi terzi che vivono in condizione di “transizione abitativa”. 
 
Le attività di ricerca e sperimentazione sono ancora in corso, ma un elemento emerge già con chiarezza dall’ascolto delle persone coinvolte nei quattro progetti: la soluzione per progetti personalizzati efficaci, passa anche e soprattutto dalla qualità della relazione tra le persone che vivono le soluzioni abitative, come inquilini o come operatori.  

A dirlo sono proprio i beneficiari di questi servizi. Dominic* frequenta il centro Solidarietà e Crescita, ed è entusiasta del rapporto con i suoi operatori, con altri utenti e con le comunità locali. "Mi hanno aiutato molto, ad inserirmi nel lavoro, nello studio”, ha raccontato ai ricercatori del progetto Includ-EU. “Per me questo progetto è stato molto importante e spero possa andare avanti ed aiutare molti: io ho fatto molte amicizie. Ma di solito è difficile conoscere persone nuove!"

Nell’ottica di una serena convivenza infatti, emerge come fondamentale anche coltivare relazioni di qualità con le persone che vivono i nuovi luoghi dell’inserimento abitativo. Anche nel progetto Diamoci Le Ali, Mirza* ha trovato occasioni simili in momenti informali che appaiono tanto piccoli quanto importanti. “La gestione di questo posto ci permetteva di vivere una vita normale: erano previste delle cene tutti insieme, con la pizza!"

Ad oggi, gli operatori giocano un ruolo importante nella promozione di occasioni simili. Nelle parole di Dennis*, del progetto E.V.V.A.I, gli sforzi dei professionisti che lo hanno affiancato spesso sono andati oltre quanto previsto dal progetto personalizzato: "Mi hanno aiutato molto, su tutti i bisogni” racconta Dennis, “secondo me non devono cambiare o migliorare nulla di quello che fanno, perché sono sempre disponibili qualsiasi cosa accada. Se hai un problema fanno di tutto per risolverlo, mi hanno aiutato con il lavoro e fatto partecipare a corsi di formazione per prendere il diploma. Tutto questo mi permette di imparare a vivere in Italia!". 

Tuttavia, nel quadro ricostruito attraverso l’ascolto di tutti gli attori coinvolti, gli sforzi degli operatori spesso rischiano di essere frutto di forme di volontarismo e spontaneismo, piuttosto che la naturale conseguenza di risposte strutturate e replicabili. Anche per questo, obiettivo di Includ-EU per i prossimi passi sarà promuovere il coinvolgimento diretto di tutti gli attori, inclusi gli utenti dei servizi, nella costruzione di un modello di inclusione abitativa fondato su forme consolidate e permanenti di partecipazione attiva. Un modello alla portata di tutti, che orienti con facilità chi vorrà privilegiare un approccio collaborativo nella costruzione di risposte per i cittadini di paesi terzi. 
 

* nome di fantasia per proteggere la privacy della persona intervistata

Prevenire e curare la condizione di sfruttamento: la presa in carico integrata del progetto di L’Altro Diritto “La costituzione in azione”

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Riprende in questo numero il nostro lavoro di approfondimento dei 40 progetti zonali finanziati dal Bando regionale per la tutela dei bisogni essenziali, oggi concentrato su un tema che di recente è stato al centro del dibattito politico e mediatico: il contrasto al lavoro nero e allo sfruttamento. In queste settimane infatti si è parlato molto della misura di emersione dei rapporti di lavoro contenuta nell’articolo 103 del Decreto Rilancio Italia, di cui abbiamo provato a passare in rassegna alcuni punti di forza e punti di debolezza. Ma basta davvero attivare un percorso di emersione del lavoro nero per far uscire i cittadini di paesi terzi dalla morsa dello sfruttamento? E quali strumenti complementari si può pensare di impiegare per garantire risultati sostenibili?  
 
In questa direzione vanno gli sforzi del Centro di ricerca universitario Altro Diritto, che dal 2003 si dedica al tema dello sfruttamento e che proprio in questi mesi ha sperimentato soluzioni per l’emersione di rapporti di lavoro sfruttanti con il progetto “La Costituzione in Azione”, finanziato dal bando regionale per la tutela dei bisogni essenziali. 
 
Il progetto infatti è dedicato ad un piano di contrasto dello sfruttamento a tutto tondo, attraverso un percorso personalizzato di presa in carico integrata nato dagli sforzi comuni di Altro Diritto, Coop 22, e CGIL Firenze, che coinvolge i cittadini di paesi terzi delle zone Fiorentina Nord-Ovest, Fiorentina Sud-Est, Pistoiese e Pratese. Un vero e proprio meccanismo di integrazione socio-lavorativa, sviluppato nell’ambito di un percorso di co-progettazione che ha affiancato alle attività di supporto legale un ampio ventaglio di moduli attivabili per l’inserimento lavorativo e socio-abitativo - come il bilancio delle competenze e preparazione del CV, accoglienza in strutture dedicate, insegnamento italiano L2 e attività di matching con soggetti del profit. 
 
“Il progetto è nato con l’obiettivo di fare fronte agli effetti disastrosi del Decreto Salvini” racconta il professor Emilio Santoro, direttore di Altro Diritto, “perché l’abolizione della protezione umanitaria aveva lentamente iniziato a produrre irregolarità per chi fuoriusciva o era già uscito dai centri di accoglienza. Avevamo a disposizione un’enorme messe di dati sul fatto che i richiedenti asilo fossero, anche per questo motivo, tra i soggetti più esposti ai rischi dello sfruttamento lavorativo. La lunghezza del processo di esame della domanda di protezione internazionale che può sfociare dopo anni in una condizione di irregolarità, unita ad una situazione di emergenza abitativa, crea le precondizioni ideali per cadere nei circuiti del lavoro nero e del caporalato agricolo, del tessile e dell’edilizia”. 
 
Proprio per questo il progetto si è avvalso della collaborazione dei centri di accoglienza CAS e SIPROIMI e di una rete di patronati e sportelli per l’immigrazione attivi nelle zone interessate. Il meccanismo si è dotato così di uno sguardo duplice, volto a ‘prevenire’ e ‘curare’ il lavoro sfruttato. “Da un lato abbiamo cercato di intercettare chi era in via di fuoriuscita dai centri” spiega Santoro “e dall’altro di svuotare le sacche di vulnerabilità già create, offrendoci come alternativa a quelle persone già in piena condizione di sfruttamento e con permesso in scadenza che si rivolgevano ad uno sportello, senza che questo potesse offrire loro troppe soluzioni dal punto di vista legale.”
 
Un’alternativa, quella offerta, che va necessariamente oltre la semplice regolarizzazione. Tra gli obiettivi primari del progetto La Costituzione in Azione c’è quello di consentire alle persone sfruttate di ottenere un permesso di soggiorno anche ricorrendo all’ex-articolo 18, il permesso di protezione sociale per vittime di sfruttamento. “Ma quella dell’ex-articolo 18 è una pratica molto complessa” spiega il professor Santoro “che tendenzialmente permette di ottenere un permesso in tempi ragionevoli solo se c’è una denuncia verificata dello sfruttamento lavorativo, perché questa è la prova più concreta che si possa produrre. Ma la denuncia non è certo una scelta facile. E’ chiaro che se a un lavoratore sfruttato non si dà una reale alternativa percorribile, il lavoro sfruttato è meglio di niente. Anzi, in mancanza di questa alternativa, spingere per una denuncia vorrebbe dire fargli un torto: la persona che cerco di aiutare mi vedrebbe giustamente come una minaccia, perché gli tolgo un lavoro che, per quanto sfruttato, è pur sempre un lavoro. E’ per questo che abbiamo deciso di costruire un progetto alternativo, che poggi su una rete ampia e varia di soggetti del no-profit e di industrie e produttori per affiancare al percorso di regolarizzazione anche un percorso di inserimento socio-lavorativo. Volevamo creare un percorso che potesse offrire a chi denuncia una reale alternativa di vita. Perché essere regolari è importante, ma solo con un permesso di soggiorno non si mangia”.
 
Ed è questo, secondo il professor Santoro, uno dei rischi dell’attuale sanatoria. “Non dobbiamo dimenticarci che, prima degli effetti tristemente noti del Decreto Salvini, la maggior parte delle persone sfruttate in Italia erano regolari, e che le due persone morte di sfruttamento in agricoltura erano cittadini italiani. E’ chiaro quindi che regolarizzare le persone non sarà sufficiente” spiega il professore, “perché lo sfruttamento si impedisce solo se al lavoro sfruttato si contrappone un lavoro dignitoso. In questo senso neanche la migliore sanatoria può risolvere il problema, se non le si affiancano misure come quella che, pur su scala ridotta, stiamo sperimentando noi.” 
 
Il progetto ha già intercettato il bisogno di oltre 60 persone, che sono state prese in carico con l’attivazione di moduli in base alle esigenze di ciascuno. Ad oggi, i percorsi di inserimento lavorativo hanno inevitabilmente subito una battuta d’arresto in seguito alle difficoltà economiche, dovute al lockdown, di molte delle imprese partner. Ma in questo periodo di graduale riapertura, la speranza è quella di poter tornare a lavorare, e di usufruire al meglio delle possibilità offerte dalla nuova sanatoria proponendosi come una ‘terza via’ che ne possa arginare i rischi.
 

Il microcredito a sostegno di tutti gli imprenditori: la storia di Roland Djomeni

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Quali sono i capitali e le risorse di cui hanno bisogno gli imprenditori senza capitali? Anche questo tema è stato affrontato al convegno conclusivo di Savoir Faire, dedicato a temi cruciali per l’inclusione dei cittadini dei paesi terzi come la validazione delle competenze lavorative, l’antidiscriminazione e il contrasto allo sfruttamento lavorativo, i circuiti di credito complementare e il microcredito per i cittadini di paesi terzi.

Tra le buone pratiche di promozione dell’autoimprenditorialità presentate al convegno rientra anche il progetto di microcredito di Fondazione FInanza Etica dotato di  pre-accompagnamento” per supportare le persone nella stesura di progetti imprenditoriali. Il progetto è stato raccontato da Irene Palmisano e dall’imprenditore Roland Albert Djomeni, che ha usufruito del servizio di microcredito per aprire uno sportello di assistenza fiscale dedicato a persone con background migratorio.

Da Yaoundé a Biella: la storia di Roland

Nella sua città, Yaoundé, Roland lavorava come operatore per un’associazione che offriva sostegno a donne malate di Aids. Un tema delicato che chiamava l’associazione ad offrire supporto anche a uomini costretti a prostituirsi. Proprio in quegli anni, nel 2005, il Camerun diventa teatro di violente repressioni omofobe, culminate spesso in scontri, pestaggi e omicidi.

Costretto a lasciare il Camerun in ragione della sua attività, Roland passa per il Mali e arriva cinque anni dopo in Algeria, dove lavora come operatore per Caritas. Nel 2015 scopre della scelta del consolato di impedirgli il rientro nel suo paese. Decide allora di tentare la via per l’Italia. Affronta un viaggio durissimo attraverso la violenza dei campi tunisini e libici, e attraversa il Mediterraneo su un vecchio gommone insieme ad altri 130 tra uomini, donne e bambini.

Arrivato in Italia, Roland fonda insieme a Fatima Katoufe Migr’action: una associazione per supportare chi è sopravvissuto al viaggio in Europa, e per informare i giovani che intendono lasciare l’Africa sui pericoli a cui vanno incontro.

“Io vengo dal Camerun, ma sono nato in Italia da 5 anni. Perché qui a Biella sono proprio nato, nel senso di ‘nascere amministrativamente” racconta Roland al convegno di Savoir Faire. “Appena arrivato mi sono accorto molto in fretta di quanto mancasse ancora protagonismo a persone che avevano una storia come la mia. Allora ho fondato una associazione, poi un’altra ancora. Ma il protagonismo continuava a mancare. Vedevo discriminazione ovunque, nella vita di tante persone intorno a me. Così ho deciso di mettermi in gioco anche come imprenditore.”

Attraverso il servizio di microcredito di Fondazione Finanza Etica, Roland ha potuto avviare uno sportello di assistenza fiscale, che ha aperto i battenti lo scorso 14 aprile. “Cercavo un’attività che facesse bene alla comunità di cui faccio parte, e che potesse rispondere ai bisogni che non trovano risposta. E così ho scelto di offrire un servizio di assistenza fiscale. Perché questa rimane ancora una grande difficoltà per molte persone che hanno migrato. Davanti a una pratica, c’è sempre grande confusione, e il bisogno di trovare un intermediario. E ancora non si è visto un migrante sub-sahariano che abbia aperto uno sportello CAF. Questo non mi è piaciuto.” 

Il microcredito tra reti sociali e storie di vita

Una storia a lieto fine quella di Roland, che rimarca anche l’importanza del capitale sociale, delle reti relazionali, e della valorizzazione delle competenze come fattori determinanti per supportare davvero le persone nei loro percorsi di autoimprenditorialità. Oltre all’erogazione monetaria, il servizio di microcredito di Fondazione Finanza Etica prevede infatti attività di accompagnamento per supportare le persone a partire dalla stesura dei loro progetti imprenditoriali.
 
Ed è forse proprio questa la fase più delicata, da cui dipende il successo di esperienze come quella di Roland. “Molti dei progetti che hanno avuto successo erano elaborati da persone che venivano da un percorso di rete. Ci siamo presto accorti che dovevamo valorizzare il profilo delle persone, e che questo ci imponeva di riuscire a valorizzare anche la loro storia” ha spiegato Irene Palmisano, referente dell’Area Progetti di Fondazione Finanza Etica. “Appena avviata la nostra esperienza di microcredito, le proposte che ci arrivavano erano spesso troppo scarne. Ci dicevano soltanto cosa volevano fare, e con che mezzi. Poi abbiamo scoperto che fermarci un attimo e chiedere loro ‘chi sei tu, che vuoi fare questo progetto?’ dava molta più coerenza al progetto stesso. Ed è così abbiamo conosciuto davvero Roland: non come beneficiario, né soltanto come utente, ma come persona. A beneficio di tutti.”  
 

Un laboratorio di sartoria a tutela della comunità: la produzione di mascherine degli utenti dei CAS di Arezzo

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

La narrazione dell’accoglienza in italia ci ha abituati a immaginare richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale solo come persone inerti, vulnerabili, prive di mezzi e di iniziativa. Tuttavia la situazione di vera e propria emergenza che vive il nostro paese sembra mostrarci anche qualcosa di diverso. 

E’ il caso della provincia di Arezzo, dove i ragazzi di alcuni CAS gestiti dalla cooperativa La Città del Sole hanno deciso di confezionare in totale autonomia mascherine filtranti per ospiti, operatori e per chiunque ne abbia bisogno. 

La Città del Sole conta 10 CAS attivi nella provincia Aretina, dislocati nei comuni di Arezzo, Castel Focognano, Subbiano e Capolona. In queste strutture, da 4 anni gli operatori avevano portato avanti varie attività di formazione e promozione dell’autonomia come corsi di lingua, attività sportive, di volontariato e di formazione lavorativa. Tra queste anche un laboratorio di sartoria, realizzato grazie all’associazione di volontariato Pronto Donna, che era terminato con la realizzazione di una sfilata di vestiti autoprodotti e con il regalo di macchine da cucito ad alcuni partecipanti perché potessero continuare a sviluppare le competenze acquisite

Proprio grazie a questo regalo, pochi giorni fa è nato qualcosa di inaspettato. Ad alcuni ospiti del centro è venuta l’idea di reagire all’emergenza, e di iniziare a produrre mascherine per sé e per gli altri ospiti dei centri. Così tre ospiti dei centri hanno iniziato a mettere mano alla macchina da cucito all’interno delle proprie stanze - impiegando prima stoffe africane e poi, con il supporto degli operatori della cooperativa, specifici materiali non traspiranti. 

“I ragazzi hanno capito benissimo il momento grave che stiamo attraversando” spiega l’operatore e direttore del progetto Vincenzo Costanzo “e hanno capito che, se non avevamo mascherine da dargli, non era perché non volessimo noi, ma perché non era proprio possibile. E così hanno deciso di darsi da fare loro, e hanno avuto questa meravigliosa idea”. 

Le tecniche di realizzazione sono andate migliorando progressivamente, anche grazie a dei video tutorial realizzati da un membro dell’equipe. Da allora gli ospiti della cooperativa e gli operatori sono costantemente all’opera. Ad oggi sono state realizzate e distribuite settimanalmente all’interno dei centri più di un centinaio di mascherine con Tessuto Non Tessuto (TNT), un materiale con una capacità di trattenuta del virus del 96%, ma i ragazzi e gli operatori sperano di arrivare presto ad impiegare altri materiali ancora più professionali. 

Nel futuro si prevede infatti di dedicare alla produzione un vero e proprio laboratorio ricavato da alcuni stabili rimasti vuoti, dove i ragazzi già esperti di cucito potranno insegnare ad altri ospiti a padroneggiare la tecnica in un’ottica di peer education. L’obiettivo? Arrivare a produrre quantitativi sempre maggiori di mascherine, per superare  il fabbisogno degli ospiti e degli operatori della cooperativa e arrivare distribuire anche ai volontari di altre associazioni e a tutta la comunità locale. “Un modo per sopperire alla mancanza di dispositivi di protezione individuale, come anche di mostrare agli abitanti dei comuni la propria solidarietà e la disponibilità ad essere d’aiuto” spiega Vincenzo, “sarà difficile arrivare a produrne abbastanza per tutti, perché spesso si tratta di materiali costosi e ad oggi tutto l’acquisto di materiali per l’igiene e la prevenzione resta a carico nostro, ma speriamo di farcela.” 

Nel frattempo, altri ospiti hanno già chiesto di poter usare le prime mascherine per rendersi disponibili in altri modi, ad esempio supportando persone anziane o con disabilità nel fare la spesa. A tale proposito, la cooperativa definirà presto insieme ai Comuni interessati le modalità adeguate di formazione e intervento. 

 

Nella foto Osavbie Igiebor. Foto di: La Città del Sole coop. soc.
Foto di anteprima tratta da: pixabay.com 

Abitare ora, abitare poi: i progetti di pronta accoglienza e social housing finanziati dal bando regionale

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Continua l’esplorazione dei 40 progetti zonali finanziati dal nuovo bando regionale, iniziata nello scorso numero della newsletter di #AccoglienzaToscana.

Questo mese ci dedichiamo ad un altro degli ambiti che Regione Toscana ha riconosciuto come fondamentali: quello dell’inclusione socio-abitativa. Da questo punto di vista, sono due le tipologie di soluzioni individuate e implementate dagli attori del territorio. 

Da un lato, le proposte progettuali si sono dedicate all’accoglienza emergenziale e temporanea, come risposta immediata ai bisogni delle persone senza dimora, incluse le persone fuoriuscite dalle strutture CAS e SIPROIMI in seguito alla revoca dell’accoglienza. 

A questa forma di pronta accoglienza di natura strettamente assistenziale e più vicina al pronto intervento sociale, viene spesso affiancata un’accoglienza che guarda al lungo periodo, con interventi di accompagnamento e formazione orientati a favorire l’autonomia socio-abitativa della persona. Progetti più complessi questi, che attraverso processi multi-stakeholder puntano a trasformare la semplice offerta di soluzioni abitative in un’occasione per la creazione condivisa di un abitare comunitario, solidale e sostenibile. 

I progetti finanziati spesso si sono dedicati ad entrambe le tipologie di accoglienza, impiegando anche le professionalità che già nell’ambito delle progettualità SIPROIMI erano dedicate all’inclusione socio-abitativa dei titolari di protezione internazionale, sussidiaria e dei minori stranieri non accompagnati accolti. 


È il caso del progetto “ANG, Accoglienza Non Governativa e accompagnamento diffuso”, realizzato da CAT cooperativa sociale nelle zone-distretto della Fiorentina Sud-Est e del Mugello. Tra le numerosi azioni descritte nel progetto si trova infatti anche il potenziamento del servizio Buono Notte, il fondo di solidarietà già sperimentato da Arci Firenze e Anelli Mancanti come risposta emergenziale ai primi fuoriusciti del Decreto Sicurezza. Il Buono Notte ha garantito, attraverso una campagna di autofinanziamento, la possibilità a persone senza dimora escluse dal sistema dell’accoglienza di usufruire di alloggi temporanei. Grazie al bando regionale il servizio sarà potenziato, e comprenderà un numero di posti riservati alle/ai migranti LGBTQ+ (persone il cui orientamento sessuale e/o identità di genere differiscono da quello eteronormato) gestiti in collaborazione da Azione Gay e Lesbica. In parallelo, il progetto “ANG” prevede il potenziamento del progetto “Agenzia Casa” dell’associazione Progetto Accoglienza, l’attivazione di una più ampia agenzia sociale nelle zone Mugello e Fiorentina Sud-Est, come anche la formazione di un operatore specializzato nella ricerca di soluzioni abitative e nell’ “educazione all’abitare”. 

In una simile direzione va anche il progetto della Società della Salute Valdinievole “Paracaduti – Percorsi di Accompagnamento alla Responsabilità e all’Autonomia”, rivolto a persone in stato di marginalità, cittadini stranieri e richiedenti asilo. Il progetto prevede l’attivazione di percorsi di autonomia abitativa in co-housing (con l’obiettivo di instaurare dinamiche di mutuo aiuto tra i beneficiari), affiancati da sostegno socio-educativo 'leggero'. In linea con la misura nazionale di contrasto alla povertà del Reddito di Cittadinanza, il progetto sperimenta un approccio integrato di presa in carico totale di nuclei familiari e individui con l’attivazione di una equipe multidisciplinare, e si interseca con il SIPROIMI della SdS Valdinievole e con le numerose progettualità del Fondo Sociale Europeo già attive nella zona - con un’attenzione particolare alle donne straniere vittime di violenza. Nel farlo, “Paracaduti” segue il principio housing first diffuso in materia di homelessness, che prevede di evitare un percorso ‘a scalini’ attraverso strutture a bassa soglia, inserendo direttamente la persona senza dimora in un vero e proprio alloggio.


Una soluzione simile è stata sperimentata dal già menzionato progetto “#PorteAperte”, che attraverso un percorso di co-progettazione si è inserito con coerenza nelle iniziative di Fondazione Casa Lucca - offrendo alle persone in condizione di necessità alloggi ad affitto calmierato e alloggi di transizione di prima necessità, e affiancando a questi servizi di prossimità, accompagnamento, animazione e mediazione volti al raggiungimento dell’autonomia degli utenti. Un accompagnamento a cui si dedica anche “Società Al Plurale”, il progetto multizonale di Arci Comitato Regionale Toscana attivo nelle province di Firenze, Livorno, Massa-Carrara, Pisa, Pistoia e Siena. Il progetto prevede, tra le altre cose, la realizzazione di 5 interventi pilota di accoglienza temporanea, all’interno dei quali vengono attivati percorsi socio-educativi volti all'autonomia con interventi di supporto alla ricerca abitativa. Contestualmente Arci Toscana attiverà un percorso di tutoraggio sul "corretto abitare" che va dai diritti e doveri previsti nei contratti di affitto alla gestione delle utenze e manutenzione alloggio, alla comprensione delle diverse tipologie contrattuali, fino alla mediazione dei conflitti tra proprietari e inquilini.  

Così anche il progetto “PAINTER, Percorsi di Accoglienza, INTEgrazione in Rete” della Società della Salute Fiorentina Nord-OVest, dedicato alle persone in prima accoglienza che faticano a raggiungere piena autonomia ed emanciparsi dal circuito dell’assistenza. Il progetto mette a disposizione, all’interno di un più ampio circuito di presa in carico coordinato dalle attività di segretariato dei servizi sociali, posti letto in coabitazione in appartamenti situati in più comuni della zona-distretto, contribuendo in minima parte alle spese di mantenimento e fornendo un affiancamento che, rispetto all’offerta degli altri percorsi formativi di autonomia abitativa già menzionati, aggiunge una guida alla raccolta differenziata e alla cittadinanza consapevole. Un’attenzione speciale in questo caso sarà dedicata ad offrire la possibilità alla popolazione Rom di Sesto Fiorentino di fuoriuscire in sicurezza dal campo Rom attivo nell’area comunale. 

 

Immagine tratta da: Pexels.com

Uno sguardo ad alcuni dei progetti finanziati: la persona al centro della progettazione personalizzata

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Non è una novità il fatto che le persone con background migratorio che permangono sul territorio italiano spesso vivano in condizioni di fragilità sociale o di elevato rischio di marginalizzazione. Una situazione questa che è stata esasperata dall’entrata in vigore della legge 132/2018, che di fatto ha minacciato la tenuta del sistema di accoglienza diffusa toscano. Ma davvero la risposta che i servizi possono dare a riguardo ha esclusivamente a che fare con il fatto di essere stranieri, o è possibile invece sperimentare delle risposte comuni a problemi più ampi di natura sociale? 

Anche alla luce di queste considerazioni, Regione Toscana ha stanziato 4 milioni di euro a contrasto dell’emarginazione sociale di tutte le persone, anche straniere, che dimorano in Toscana e sono prive di mezzi di sostentamento e reti per l’inclusione, attraverso il nuovo bando per la tutela dei bisogni essenziali. 

Difficile sintetizzare le azioni che ciascuno dei 40 progetti finanziati ha sviluppato in materia di tutela dei bisogni essenziali, autonomia socio-abitativa, consulenza giuridico legale, formazione e inserimento lavorativo, inclusione sociale. Considerato il numero di aree di intervento e l’ampio ventaglio di attività sperimentate, #AccoglienzaToscana inaugura la sezione “Percorsi e Storie”. Qui si approfondiranno le soluzioni individuate da ciascun territorio per raccogliere le sfide lanciate dal bando, e si passeranno in rassegna alcuni degli aspetti chiave di ciascun progetto. 

L’inclusione sociale per tutti 

Guardando alle soluzioni trovate, risulta evidente per tutti lo sforzo di avvio e potenziamento di sistemi integrati di segretariato sociale (ascolto e orientamento) e welfare territoriale che da un lato siano aperti a tutte le persone che ne abbiano bisogno a prescindere dal paese di provenienza o dal permesso di soggiorno, e che al contempo siano in grado di cogliere le peculiarità di ciascun beneficiario: persone senza permesso di soggiorno, persone disoccupate o vittime di sfruttamento, donne vittime di violenza, donne sole con minori, persone senza dimora, persone con disagio psicologico o dipendenze. 

In questa direzione sembra andare ad esempio il progetto multizonale “#PorteAperte” del Comune di Lucca, che ha convocato congiuntamente i tavoli dedicati alla marginalità e ai migranti già attivi nei comuni della Piana di Lucca, della Valle del Serchio e della Versilia. In questo modo più di 30 soggetti del pubblico e del privato sociale sono stati coinvolti in un percorso di co-progettazione mirato a contrastare il disagio abitativo, la povertà educativa e la bassa occupazione di tutte le persone dimoranti sui tre territori. Lo stesso vale per il progetto “Una rete Territoriale per l’Inclusione”, dell’Unione dei Comuni Valdera, che tra le azioni programmate include il ricorso a un’équipe di operatori di strada per interventi di segretariato sociale di ascolto e orientamento ai servizi. L’obiettivo in questo caso è quello di intercettare sul territorio le persone senza dimora e “la fascia di persone espulse dall’accoglienza, per recuperare i rapporti bruscamente interrotti” con i servizi, anche grazie al sostegno strategico dei gestori CAS e SIPROIMI e di concerto con il sistema anti-tratta SATIS già attivo sul territorio. 

Lo strumento del progetto personalizzato

Per affrontare con successo le problematiche dei beneficiari, in molti casi si è fatto ricorso ad uno strumento che nei servizi sociali si è ormai consolidato come prassi di successo: il progetto personalizzato, che si compone di obiettivi e attività definiti sulla base delle caratteristiche individuali e delle risorse a disposizione sul territorio. Questo strumento si era già affermato nell’ambito della promozione dell’autonomia delle persone in accoglienza SPRAR/SIPROIMI ed è riconosciuto a livello nazionale come cruciale per l’implementazione di misure di contrasto alla povertà. Oggi, anche grazie al nuovo bando regionale, questo stesso percorso può essere arricchito da servizi di mediazione interculturale ed essere offerto a tutti coloro che ne possano avere bisogno. Entrando in contatto con le unità di strada o rivolgendosi ai Punti Unici di Accesso ai servizi sociali e sanitari (PUA), i beneficiari potranno accedere a un’ampia gamma di servizi di tipo socio-assistenziale, di avviamento all’autonomia socio-abitativa, di inclusione socio-lavorativa, di inserimento in attività di volontariato per favorire l’inclusione sociale e l’incontro con la comunità. un’offerta variegata, declinata nei diversi progetti in base alle professionalità messe a disposizione dai capofila e dai partner e alla programmazione delle pubbliche amministrazioni delle singole zone distretto con cui ciascun progetto si raccorda. 

Ne è un esempio il progetto “P.E.R.So.N.E (Percorsi E Reti Solidali perché Nessuno sia Escluso)”, avviato dalla SdS Empolese Valdelsa in seguito ad una procedura di co-progettazione con soggetti già impegnati da tempo nel contrasto alla povertà: un centro di accoglienza notturna, con servizi di supporto per l'autonomia abitativa ed il co-housing, servizi di consulenza legale, attività per la crescita di competenze e l'orientamento lavorativo e attività di animazione territoriale, vengono qui attivati in base a bisogni e potenzialità della persona presa in carico. Grazie al bando il servizio sarà presto potenziato e si sperimenteranno alcune novità, come l’introduzione della figura professionale dello psicologo nel centro notturno, di un mediatore abitativo per il co-housing e di un orientatore al lavoro.


Particolarmente ampia anche l’offerta del progetto “API - Area Pratese Inclusiva” del Comune di Prato. Oltre all’orientamento ai servizi già in essere nei PUA del Comune di Prato, il progetto attiverà nuovi percorsi di supporto per donne migranti in situazione di vulnerabilità con consulto psicologico, sostegno alla genitorialità, e consulenza giuridica di secondo livello per casi complessi di tratta o violenza domestica, insieme a un’équipe multidisciplinare di specialisti per l’inserimento lavorativo di persone con vulnerabilità fisiche o con disagio psicologico o psichiatrico. Uno sforzo consistente, che richiede di lavorare in modo efficace in un’ottica di rete: anche per questo il progetto si propone di istituire un “Tavolo Permanente sulle Vulnerabilità” per la zona-distretto. 


La sfida raccolta dai partecipanti al bando è quella di sviluppare o ampliare un sistema di welfare territoriale che sia coerente con i bisogni locali, che si doti di strumenti utili all’effettiva comprensione della persona nella sua unicità e che sia in grado di adattare flessibilmente la risposta in relazione ai bisogni puntuali riscontrati. A tale proposito sembra interessante anche l’iniziativa del progetto “Livorno Città Aperta” del Comune di Livorno, che ha collegato al proprio sportello per stranieri un Osservatorio dedicato alla rilevazione, all’organizzazione e all’aggiornamento di dati relativi ai servizi richiesti sul territorio. 

 

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Progetto Amir: dal Gambia a Fiesole, la passione per l’arte di Ebrima Saidy che ci racconta un anno da mediatore al museo

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

A un anno dall’avvio del progetto Amir in forma sperimentale abbiamo parlato con chi ha aderito all’iniziativa in prima persona con la voglia di studiare le bellezze artistiche del territorio, di mettersi in gioco relazionandosi come mediatore e accompagnando gruppi di cittadini stranieri nei musei.
Ebrima Saydi è un minore straniero non accompagnato quando arriva in Italia nel 2014 e viene accolto in diverse strutture di accoglienza e inserito nel percorso Sprar, tra Roma, Firenze, Borgo San Lorenzo e Scandicci. In Toscana, sono gli amici e gli operatori che gli parlano del progetto Amir, sostenuto dalla Regione Toscana e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, al fine di favorire il dialogo fra musei e cittadini stranieri, per costruire nel tempo un rapporto di partecipazione al patrimonio da parte di tutti. Un anno fa, consulta il sito del progetto, avanza la sua candidatura e viene presto chiamato per la selezione e la formazione realizzata dai responsabili dei comuni partner. Il progetto coinvolge 7 musei tra Firenze e Fiesole offrendo anche una formazione specifica sul campo. Infatti Saidy ci racconta che la formazione specifica seguìta si è svolta proprio al Teatro Romano e al Museo Bandini di Fiesole dove attualmente continua a fare da accompagnatore ai gruppi di visitatori.
“Ho studiato arte nel mio paese di origine ma non ho potuto fruire di una formazione ad ampio respiro – entra nel merito Saidy – qui mi sono appassionato alla storia dell’arte italiana e ho approfondito il periodo della dinastia dei Medici. Mi piace molto far parte del gruppo che lavora a Fiesole e far parte di questo progetto perché l’obiettivo di inglobare i cittadini stranieri che vogliono imparare meglio la cultura e l’arte italiana fa parte di quelli utili a realizzare un vero processo di integrazione. Anche per me – specifica ancora -  questo diventa un momento importante di crescita e di conoscenza del paese in cui voglio continuare a vivere”. 
Le lezioni che fanno riferimento al progetto sono dunque un momento di scambio proficuo per tutti ci spiega in conclusione Saidy: “sono lezioni interattive dove, tra gli aspetti storici, emergono anche le storie di vita e qualche considerazione più personale; per esempio partecipano anche diversi ragazzi italiani che mi chiedono spesso informazioni sul mio paese di origine, il Gambia, un paese ricco di tradizioni e lingue così come mi pongono domande sul periodo del colonialismo inglese che ha caratterizzato questo stato”.
Sul futuro dimostra di aver le idee chiare: “vorrei continuare con il progetto dal momento che posso rendermi utile considerato che conosco 5 lingue e perché voglio continuare a studiare. Gli ultimi argomenti di studio sui giardini nell’arte e sulla botanica sono stati per me molto interessanti. Mi piacerebbe poi poter seguire degli approfondimenti specifici sullo studio della cartografia, sono un appassionato di mappe”. 

 

Nella foto, Ebrima Saidy durante le attività nel museo Bandini. Foto di Nicola Neri, tratta da: amirproject.com

 

A scuola di accoglienza: a Firenze la prima Penny Wirton all’interno di un istituto pubblico. Intervista a Ludovico Arte, Preside dell’Istituto Tecnico per il Turismo Marco Polo di Firenze

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

L’avvio sperimentale della scuola Penny Wirton nel capoluogo toscano diventa un sistema consolidato e innovativo per fare inclusione attraverso l’apprendimento della lingua italiana per i cittadini stranieri. Sono oltre 40 le scuole Penny Wirton, fondate dallo scrittore e insegnante Eraldo Affinati, che in Italia e in Svizzera sono caratterizzate dallo stile dell’insegnamento ai migranti uno a uno o per piccoli gruppi, curando in primo luogo la relazione personale. A Firenze l’iniziativa è partita dall’idea di un preside, Ludovico Arte, che ha visto tra i locali del suo istituto la possibilità di realizzare un luogo di conoscenza aperto a tutti.

Preside come nasce la proposta educativa dell’Istituto Marco Polo che ha visto un avvio sperimentale della scuola Penny Wirton al suo interno e che ora si è consolidato a tutti gli effetti?

La nostra Scuola è interessata alle attività di accoglienza e orientata all’ampio respiro culturale per tale ragione, grazie anche all’incontro con Eraldo Affinati abbiamo cominciato a maturare l’idea che si potesse aprire una Penny Wirton, mai realizzata sul territorio,  proprio all’interno del nostro istituto. Questo progetto, avviato ad aprile 2018, ha mantenuto le proprie caratteristiche di sistema: la gratuità per chi segue i corsi con un corpo docente a titolo volontario e il rapporto uno a uno, senza il classico lavoro in classe.

Questo pone il problema di trovare molti insegnanti, chi ha aderito a questa proposta didattica? Nella sua scuola i processi di peer education sono un elemento qualificante della propria azione educativa, siete riusciti a coinvolgere i ragazzi anche in questo caso?

Sono coinvolti insegnanti interni ed esperti esterni come per esempio alcuni docenti in pensione ma anche cittadini che hanno piacere di confrontarsi con questa esperienza. Ci sono, inoltre, studenti della scuola che rimangono al pomeriggio per svolgere i corsi di lingua come attività riconosciuta di scuola lavoro. Abbiamo ottenuto, così, uno spazio condiviso in cui adulti, insegnanti esterni e interni, ragazzi della scuola e non, migranti possono fare un percorso e un’attività di apprendimento insieme.

Chi segue i  corsi Penny Wirton ? Gli studenti del corso di lingua italiana vi vengono segnalati dalle associazioni del territorio?

Lavoriamo in rapporto con le scuole di lingua della Caritas che indirizzano gli studenti anche da noi ma abbiamo fatto un capillare lavoro di promozione di questa attività a livello territoriale con il volantinaggio e attraverso i social, quindi i migranti possono arrivare autonomamente o attraverso le varie associazioni che suggeriscono loro di recarsi presso il nostro plesso scolastico.

Come funziona il metodo e il rapporto tra gli studenti che si fermano ad insegnare e quelli che seguono il corso di italiano?

Ci sono vari tavoli di lavoro, uno a uno o a piccoli gruppi, in cui gli studenti della nostra scuola si dedicano all’insegnamento della lingua italiana, secondo le loro possibilità o supportati dagli insegnanti. Nessuno indaga la vita dei migranti che intendono fruire del corso ma, dal momento che il lavoro di apprendimento è libero, non impostato sull’insegnamento della grammatica tradizionale, a volte emergono le storia di vita. Si crea un tavolo di relazione condivisa, di alcuni sappiamo molto, altre volte non sappiamo nulla e il rapporto rimane strettamente legato all’insegnamento della lingua senza mettere in luce gli aspetti personali.

Aprire una Penny Wirton, con tutte le caratteristiche che ha spiegato fino ad ora all’interno di una scuola pubblica significa dare un segnale forte oltre ad avere una identità profondamente riconosciuta sul territorio, che ne pensa?

Penso che la scuola pubblica debba essere la scuola di tutti, ragazzi e adulti, ricchi e poveri , italiani e stranieri, dotati e meno dotati. Penso abbia il dovere di accogliere e la sua ricchezza stia proprio nel mescolare storie e persone diverse tra loro. Vogliamo mandare questo tipo di segnale proveniente da un’istituzione e sperare che, da qui, si contamini un pezzo di società importante come quella dei nostri studenti e delle loro famiglie in modo che possa poi circolare ad ampio raggio l’idea di una nuova società aperta. In questo particolare momento in cui si tende a creare muri vogliamo, dunque, mandare il messaggio in questa direzione: insegnanti e ragazzi mettono spontaneamente il loro tempo a disposizione dei cittadini stranieri che vogliono imparare l’italiano, è il modo di costruire in piccolo una società diversa. Anche il territorio sta contribuendo: è un luogo di vitale storia sociale che ha visto al nostro primo incontro sul tema la partecipazione di 40 persone.

Un po’ provocatoriamente mi permetta di chiedere come si può uscire dalla logica di quartiere, seppur virtuoso, per portare a questo progetto un’eco di maggiore impatto e anche di riflessione sulle caratteristiche della scuola pubblica in questo paese?

Le racconto, dunque, un aspetto a latere sull’esperienza Penny Wirton. Abbiamo realizzato un film sulla scuola che è stato selezionato al Festival del Cinema di Roma. Con il regista, che è stato con noi per un anno, abbiamo inserito nelle riprese le attività della Penny Wirton perché rappresenta l’ambiente accogliente e multiculturale della società che vorremmo. A breve, partirà una campagna di comunicazione sul film Marco Polo, realizzato per parlare di scuola in generale, ma la forza di quelle immagini rappresenta un vulnus dentro il mondo istituzionale, utile per far comprendere meglio che per noi la società manda questo segnale.

Si può aprire questa riflessione anche in questo momento storico in cui dilaga il linguaggio di odio come tratto distintivo della società attuale? La Scuola cosa può fare secondo lei?

Penso che le scuole debbano schierarsi, prendere una posizione in favore di un’idea di educazione, di scuola e di società ben precise. Bisogna decidere da che parte stare. La nostra scuola ha fatto diverse scelte: per esempio quella di non fare entrare i cani antidroga dentro l’istituto perché non credo sia il modo corretto per contrastare l’uso di sostanze tra i ragazzi. E sulla falsa riga esistono una serie di scelte forti se una scuola ha deciso di portare avanti l’idea di scuola pubblica e di società inclusiva. In tal senso, la proposta della Penny Wirton prende posto rispetto ad una discussione attuale in Italia contro chi vuole creare barriere all’accoglienza utilizzando il motto l’Italia agli italiani. Prende posto con la sua proposta secondo cui lo stare tra persone diverse, faccia crescere persone migliori. Aggiungo che, con l’esperienza di questi anni, potrei raccontare alcuni comportamenti negativi degli studenti, dagli episodi di bullismo all’utilizzo di sostanze ma non potrei descrivere nessun atto di razzismo vero a scuola. I ragazzi in classe sono naturalmente accoglienti e non vivrebbero l’intolleranza se non ci fossero gli adulti che la fomentano attraverso i linguaggi di odio. È una generazione che conosce l’Europa e si relaziona senza complicanze con i ragazzi del mondo. La scuola deve contribuire ad andare in questa direzione, noi stiamo provando a farlo.
I corsi si tengono il martedì e il giovedì in orario dalle 15.00 alle 17.00. Tutte le informazioni sulla scuola Penny Wirton sono disponibili sulla loro pagina web 

 

Foto tratta da: ittmarcopolo.edu.it

 

Stand up for Africa: l’artista Mouhemed Yaye Traore racconta la forza della creatività quando un progetto di integrazione unisce arte contemporanea e diritti umani

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Utilizzare gli strumenti di espressione dell’arte contemporanea come occasione di incontro tra comunità locali e i migranti ospitati nelle strutture di accoglienza: questa la modalità di lavoro del progetto Stand up for Africa (SUFA), la cui nuova edizione è partita ai primi di settembre con una serie di eventi che si concluderanno il 22 ottobre.
Mouhemed Yaye Traore è un ragazzo che 3 anni fa, a 21 anni, giunge in Italia dopo essere partito dal suo paese di origine, il Benin, dopo aver affrontato un lungo viaggio che lo ha portato a sbarcare in Sicilia ed a essere trasferito, in poche ore, in Toscana. Qui entra nel percorso di accoglienza CAS e SPRAR nel Casentino e coinvolto nel progetto Stand up for Africa, ideato dall’artista Paolo Fabiani e dall’architetto Rossella Del Sere.
“Il solo nome del progetto – racconta Mouhemed Yaye Traore - mi ha coinvolto fin da subito, è stato un richiamo che ha destato in me curiosità per il mio forte legame con il mio paese di origine anche se pensavo che, dal momento che ho studiato lingue, non mi sarei trovato a mio agio con i insegnamenti legati all’arte . Poi il lavoro che mi è stato insegnato e la collaborazione con i coetanei coinvolti mi hanno fatto capire che mi sbagliavo. Con la prima edizione di Stand up for Africa, abbiamo imparato importanti tecniche di lavoro e realizzato oggetti d’arte, quadri e installazioni grazie alle indicazioni degli artisti locali. All’inizio – specifica ancora – ho solo collaborato, aiutato e posato per gli altri. Poi ho cominciato a comunicare quanto ero legato al mio paese realizzando una serie di maschere africane”.
E a partire da queste, non si è fermato nelle sue sperimentazioni artistiche che sono passate attraverso la ritrattistica fino ad arrivare alla fotografia. “Ho seguito un corso, ho imparato le basi e poi ho capito che quella della fotografia era per me una grande passione, un modo per comunicare i legami con la mia terra, la mia gente e i sentimenti, anche contrastanti, che ora mi legano a questo paese che ha saputo accogliermi in modo così particolare”.
Le fotografie dell’artista sono state anche esposte temporaneamente al museo Pecci di Prato mentre una in particolare verrà esposta, insieme a quelle dei vari artisti delle scorse edizioni SUFA, il 5 ottobre a Casa Bethesda, Villa Pettini, a Montevarchi durante il corso della prima tappa della mostra itinerante Nomad art space.
“Non ho ancora deciso la foto da esporre perché il mio lavoro è cresciuto con la forza di una creatività che mi ha portato a raccontare davvero molto: gli sbarchi, le persone, i loro drammi e i loro desideri. Per esempio – entra nello specifico l’artista – dopo che ho visitato Venezia sono rimasto colpito dalle visite dei turisti e ho cercato di riportare nel mio lavoro il forte contrasto e il confronto del viaggio tra persone che si muovono per piacere e quelle che si spostano per cercare un futuro degno di questo nome”.
Quest’anno Yaye Traore realizzerà all’interno del progetto un laboratorio per bambini sul tema delle migrazioni. “L’arte africana costituirà sempre un elemento di contaminazione nei miei lavori futuri ma vorrei anche avere l’occasione di far conoscere il mio lavoro in Africa e poter portare in quel contesto le tecniche per imparare la conservazione delle bellezze artistiche di cui è ricco il continente”.

 

Foto di repertorio

Terra Aperta: volontariato laico e cattolico insieme al terzo settore per una task force sull’accoglienza

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Nasce a seguito dell’invito del consiglio regionale AGESCI a realizzare azioni in difesa dei diritti dei migranti, l’idea di organizzare una rete territoriale nella Provincia di Pistoia. La risposta del territorio, infatti, non si è fatta aspettare e, sulla base di questo input, le azioni concrete di accoglienza e integrazione sono state  formalizzate nel Protocollo Terra Aperta.
L’intesa vede collaborare ben 18 diverse realtà tra enti, associazioni, onlus, sindacati e cooperative attive che, all’indomani dell’entrata in vigore della legge 132/2018 (comunemente detta Decreto Salvini), si sono interrogate sulle conseguenze effettive e di lungo periodo del provvedimento. “A giugno – entra nel merito Claudio Curreli, coordinatore provinciale di AGESCI - al termine di un percorso che ha visto costituire due tavoli di lavoro paralleli per la redazione dei contenuti del Protocollo, abbiamo sottoscritto il testo finale comprensivo dell’addendum con gli impegni specifici di ciascun firmatario. Siamo partiti subito da un censimento delle disponibilità di alloggi, servizi, mezzi di trasporto e risorse economiche”. Un lavoro che, nella pratica di ogni giorno, si traduce in attività di ascolto, orientamento e presa in carico, gestione dei posti letto e dei luoghi di accoglienza, assistenza legale, psicologica e sanitaria. “Ci siamo organizzati con una modalità operativa trasversale – continua Curreli – attraverso un gruppo di coordinamento, formato dai referenti degli enti firmatari, per fare il punto sui percorsi da proporre ai migranti in uscita, sui risultati dei censimenti in atto, sulla creazione di un conto corrente nel quale confluiranno le risorse economiche raccolte, e sulla creazione di un canale per l’accesso al microcredito”. “Ogniqualvolta – conclude il coordinatore di AGESCI - il gruppo di coordinamento, avrà individuato le specifiche esigenze della persona in stato di bisogno contatterà i referenti dei singoli enti affinché mettano a concreta disposizione le risorse individuate”. 
Una vera task force di cooperazione che unisce a doppio filo il mondo laico e cattolico con il terzo settore nel tentativo di garantire a tutti una forma di tutela costante. “Organizziamo le nostre esperienze come punto fermo per ogni persona in stato di marginalità, migrante e non – afferma a tal proposito Aurelio Grecomoro, presidente della cooperativa Gli Altri – dal momento che tutti gli enti coinvolti vengono da una lunga esperienza di lavoro sui temi del sociale”. “È evidente che le persone escluse dalla protezione umanitaria sono cittadini del mondo che, data la nostra Costituzione, devono essere tutelati e che si ritrovano, invece, per strada, senza titolo ed esclusi dalla possibilità di trovare casa e lavoro. Rimangono, così, invisibili e con il rischio di diventare gli schiavi del XXI secolo”. Terra Aperta è un’esperienza nata dal basso che ha messo al centro delle esigenze del territorio quella di fare rete su un tema caldo e che coinvolge in prima linea anche gli enti locali. “Abbiamo la possibilità di monitorare il territorio attraverso gli interventi decisi con la cabina di regia del progetto – conclude il presidente – ed essere di aiuto ai comuni nel dare risposte concrete al fine di evitare che le persone vivano la condizione dell’abbandono”.

Per prendere visione del protocollo, clicca qui. 

(immagine da: Pixabay)

L’impegno di Abdul: "costruisco il mio futuro attraverso il servizio civile, un impegno annuale che si gioca anche sul terreno dell’integrazione"

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

“Tutti gli amici di Collesalvetti e Colognole mi chiamano semplicemente Abdul” esordisce Abdul Basit Abubakar - 21 anni - nel raccontare una parte della sua storia di vita alla riunione fiorentina che riunisce i ragazzi che svolgono il servizio civile presso gli uffici dei comuni toscani. L’esperienza è partita da oltre un mese e vede i ragazzi impegnati su diversi fronti e progetti. “Io sono uno studente – specifica Abdul Basit Abubakar - che ha scelto il percorso di studi in informatica all’ITIS di Livorno e che ha anche potuto lavorare come mediatore culturale per il CeSDI grazie alla conoscenza di alcune lingue: inglese, hausa, twi o fanti e pidgin english”. Il suo racconto procede condividendo il senso di appartenenza ad una realtà territoriale come quella tra Livorno, Collesalvetti e la frazione di Colognole, piuttosto piccola e periferica in cui Abdul si è trasferito con la sua famiglia nel 2015 e in cui si trova a vivere in un ambiente sereno e tranquillo. In una realtà come questa, ci racconta che il passaparola funziona piuttosto bene e la conoscenza di altri ragazzi giovani come lui che frequentano le associazioni sul territorio lo ha aiutato a venire a conoscenza delle attività del servizio civile e del bando a cui poteva presentare domanda. Così attualmente ha davanti a sé un percorso di lavoro che lo vedrà impegnato tra una attività in biblioteca e una legata alle “botteghe della salute” ovvero nei servizi informativi, di orientamento e aiuto al disbrigo delle pratiche sanitarie da parte dei cittadini. 
“Mi piace l’idea di un impegno annuale che possa permettermi di aiutare le persone del mio comune soprattutto quelle anziane” – entra nel merito Abdul che aggiunge anche “non è sempre stato facile per un ragazzo come me, un giovane proveniente dalla Nigeria che cerca di inserirsi in un tessuto sociale piccolo e ben definito ma questa terra mi ha accolto e sono pronto ad aiutare tutti i cittadini. L’idea di lavorare per le botteghe della salute, di aiutare le persone in questo campo mi fa pensare anche ad un percorso che avvicina i popoli ad un unico tema ed è un buon terreno per l’integrazione”. Con questo spirito quotidianamente organizza le giornate tra lo studio, il lavoro di sistemazione e ordinazione dei libri in biblioteca e le prenotazioni mediche e di analisi attraverso lo sportello della salute del comune di Colognole. Da questo impegno nascono anche la prospettive per il futuro “ questa esperienza mi dà motivazione e penso mi prepari al meglio anche per il mondo del lavoro” conclude Abdul che ha le idee chiare su come crescere professionalmente e aggiunge “desidero continuare in questo modo per avere un lavoro che mi permetta di unire gli aspetti dello studio dell’informatica a quelli della mediazione culturale ovvero avere il ruolo di un operatore aziendale che abbia un risvolto sociale, senza perdere il rapporto con le persone”.

 

(Foto di archivio)

Zona Franca: nasce nel Mugello una nuova esperienza di Centro Servizi Interculturale aperta a tutti

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

È stato presentato il 10 aprile presso la sede del comune di Borgo San Lorenzo il nuovo progetto di rete avviato grazie ad un finanziamento di Regione Toscana sul bando per il volontariato “Contributi in ambito sociale a soggetti del terzo settore” e teso alla creazione di un centro servizi interculturale che vada ad integrare e completare l’offerta di servizi disponibili sul territorio. L’idea nasce proprio dai bisogni sociali della zona con la messa in condivisione di competenze, risorse e progettualità in un luogo di interscambio in cui operatori insegnanti, studenti, professionisti, associazioni, volontari, pubblica amministrazione e tutte le persone straniere e non, possano contribuire alla costruzione di un welfare di comunità. Uno spazio comune di cittadinanza che si chiama Zona Franca, e che è destinato a diventare luogo di mediazione e moltiplicatore di interventi: a partire dall’idea dell’associazione promotrice Progetto Accoglienza, si è già andata a costituire una fitta rete di partner e collaboratori che comprende il comune di Borgo San Lorenzo, l’Unione di Comuni del Mugello, la Società della Salute del Mugello e numerose cooperative e imprese sociali, associazioni ed enti del terzo settore.

“Quello che ci ha spinti a pensare questa Zona Franca - spiega Luigi Andreini, presidente dell’associazione Progetto Accoglienza – è la volontà di declinare al plurale le attività di un centro servizi che sia aperto a tutti e non solo a chi si trova nei centri CAS e SIPROIMI”. “In tal modo – continua Andreini - tutte le risorse del territorio possono essere gestite per dare l’opportunità a chiunque sia a rischio emarginazione sociale di usufruire di orientamento e accompagnamento dedicato, in questo particolare momento in cui le maglie dell’accoglienza diffusa si stanno restringendo per legge”.

Nello specifico, a partire dalla rete di partner saranno attivati gli sportelli informativi, di facilitazione e di beneficenza aperti alla cittadinanza, in collaborazione con soggetti qualificati come quelli dedicati al supporto legale, etnopsicologico, antitratta, di mediazione linguistica e quello dedicato alla casa. Inoltre, in sinergia con agenzie formative ed esperti, verranno organizzate attività formative rivolte ad immigrati, operatori dell’accoglienza e operatori del territorio, in modo da facilitare il processo di coesione sociale per tutte le persone in condizioni di disagio sociale e non. Il primo ciclo formativo è stato già inaugurato lo scorso 17 aprile, con una giornata di formazione legale in materia di accoglienza dedicata agli addetti alla PA e ai volontari attivi in altre associazioni - come i giovani tutor che affiancheranno persone titolari di protezione umanitaria nell’ambito del progetto di accoglienza in famiglia “Aiutiamoci a casa nostra”.

In ambito culturale ed educativo invece, il progetto intende valorizzare l'esperienza e le progettualità già sperimentate dal Centro di documentazione interculturale dell'associazione Progetto Accoglienza, in collaborazione con la rete bibliotecaria e tutti gli istituti scolastici del Mugello, per accrescere la partecipazione e la ricaduta degli eventi e delle attività promosse coinvolgendo un'utenza sempre più ampia.

 

[Nell'immagine di copertina, un momento della formazione legale del 17 aprile. Foto di: Progetto Accoglienza]

 

 

Il racconto e la memoria: il progetto DiMMI e l'Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Fondato da Saverio Tutino, l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano nasce con l’idea di dare forma al racconto attraverso le storie di vite di persone comuni. Da qui si sviluppa il primo meccanismo di arrivo dei diari per il Premio Pieve, istituito per attribuire un riconoscimento e premiare le scritture autobiografiche inedite. L’archivio, che compie 35 anni, conta oggi 8200 testi che rappresentano le cronache e le memorie di chi ha voluto fissare con lo scritto e con la propria espressività il vivere quotidiano di un periodo della propria vita. In questo contesto nel 2012, con il sostegno di Regione Toscana, nasce un concorso specifico per storie migranti: il progetto DiMMi – Diari Multimediali Migranti che vede aperti i termini dell’attuale edizione di concorso fino al 30 aprile.

“Sono 250 le narrazioni raccolte fino ad oggi – spiega Massimiliano Bruni uno dei coordinatori di progetto – sono testimonianze in forma scritta ma anche video e illustrazioni”. Il progetto ha visto anche un finanziamento dedicato da parte dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e l’allargamento del partenariato a 47 organizzazioni nazionali che a vario titolo collaborano alle attività. Il progetto DiMMi, dunque, a partire dal modello toscano si allarga anche a Veneto, Lombardia, Lazio, Campania e Sicilia.

“DiMMI– riprende Bruni – segue la filosofia che ha portato alla nascita dell’Archivio, con la volontà di dare voce a chi ha difficoltà a far sapere la propria versione sul quotidiano, senza filtri e senza mediazioni di sorta. Questo il valore aggiunto che permette di dare spazio a visioni originali di chi ha vissuto una storia”.
Con la scorsa edizione non c’è stato un unico vincitore ma la scelta è stata quella di pubblicare un volume, Parole oltre le frontiere che contiene 10 storie inedite raccontate, dunque, così come gli autori le hanno scritte, senza mediazioni e con l’invito a parlare direttamente al momento delle presentazioni.
Sono storie molto diverse che parlano di migrazioni lontane, dall’Africa centrale al Sud America passando anche attraverso i paesi dell’Est, ma illustrano anche itinerari meno conosciuti e aiutano a comprendere, a fronte di un certo appiattimento che spesso si legge su questi temi, la complessità reale del fenomeno. “Una pluralità di storie e di voci – conclude a tal proposito Bruni – scelte come testimonianze più rappresentative proprio per mettere al centro del progetto l’eterogeneità delle storie. Nella diversità dei racconti colpisce il trasparire di quei sentimenti comuni a tutti: il rapporto con la famiglia e gli affetti che si devono lasciare, la costante preoccupazione di dare notizie e capire cosa può pensare chi è rimasto a casa”. Motivazioni ricorrenti che rappresentano partenze necessarie e non volontarie, le paure di un viaggio che accomuna tutti, le stesse che si trovano in molti documenti raccolti in archivio e lasciate dagli emigrati italiani negli anni ‘50.

Tutte le informazioni del Concorso DiMMI 2019 sono consultabili all’indirizzo https://www.dimmidistoriemigranti.it/concorso/, mentre il sito istituzionale dell’Archivio Diaristico Nazionale è consultabile al http://www.archiviodiari.org

 

 

[Immagine di copertina tratta da PIxabay]

 

 

 

Verso una presa in carico interculturale: la pratica dei mediatori etnoclinici del Centro Studi Sagara come modello di gestione del disagio psichico

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Una corretta presa in carico dei casi vulnerabili da parte dei servizi socio-sanitari è tra i bisogni più segnalati nelle interviste e nei tavoli di discussione che hanno portato alla stesura del Libro Bianco sulle politiche di accoglienza. In particolare, la gestione del disagio psichico delle persone accolte all’interno delle strutture SPRAR e CAS è forse l’aspetto più delicato a cui la rete dei servizi territoriali intende provvedere.
Ma come fare a potenziare il sistema dei servizi socio-sanitari in modo tale da garantire una presa in carico strutturale e duratura dei casi vulnerabili?
Negli ultimi anni i soci fondatori del Centro Studi Sagara hanno sperimentato una risposta ottimale al problema, scegliendo di affiancarsi agli erogatori dei servizi regolari rivolti a migranti, richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale, offrendo delle attività di consulenza specialistica in materia di psicoterapia ed intercultura.
 

A partire dalla sua fondazione come impresa sociale nel 2010, Sagara si è affermato nel panorama nazionale come uno dei principali centri di ricerca, formazione e intervento in ambito di intercultura, mediazione etnoclinica ed etnopsichiatria. Da allora collabora con CAS, SPRAR e HUB, attivando su richiesta una rete di assistenza psico-sanitaria che offre agli operatori occasioni di formazione e di supervisione ad opera dei suoi mediatori etnoclinici.

“Il nostro è un intervento di secondo livello” ci racconta la dottoressa in psicologia e antropologia Lelia Pisani, presidente del centro Sagara. “Non siamo in prima linea ad occuparci dell’utenza finale, ma cerchiamo di essere una risorsa utile alla ASL e a tutte quelle strutture che sono già adibite alla presa in carico del beneficiario. Facciamo da ponte, mettendo in sinergia tutte le competenze pubbliche già disponibili sul territorio. Dopo una prima esplorazione del problema con l’équipe di operatori al completo, l’incontro può risolversi in una consulenza o portare a un intervento guidato sull’utente ultimo. Ma sempre in un setting allargato che includa tutti gli addetti ai lavori interessati.”

Le attività di consulenza e formazione sono rese possibili dai finanziamenti dei singoli enti gestori che ne fanno richiesta, all’interno di un protocollo stipulato con la Società della Salute della zona Valdera.
E la risposta al servizio offerto è stata ottima. “Stiamo esplodendo di richieste” continua la dottoressa Pisani, “sono così tante che non riusciamo a venire incontro a tutte, e siamo alla costante ricerca di nuovi mediatori. Anche per questo abbiamo attivato alcuni percorsi formativi di specializzazione in mediazione etnoclinica, che sono ora in via di approvazione presso il MIUR”.

Una mole di lavoro che rende evidente il successo della formula Sagara nel rispondere a uno dei bisogni più complessi della pratica quotidiana dell’accoglienza, e che ricorda quanto sia importante individuare delle figure di riferimento adeguatamente formate che agiscano da fulcro per la presa in carico della salute psico-fisica di richiedenti asilo e rifugiati.

“Artigiani del domani”: un progetto inclusivo per la formazione lavorativa di richiedenti asilo e non solo

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Sono tanti gli obiettivi che un richiedente asilo deve raggiungere per ottenere piena autonomia e potersi dire finalmente “cittadino” e non più semplice “ospite”. Uno dei traguardi più importanti, e forse il più difficile da conquistare, è quello di un lavoro stabile e appagante.
Ma come fare a facilitare il corretto inserimento degli utenti dei Centri di Accoglienza Straordinaria nel mercato del lavoro, ed evitare che siano costretti a scegliere tra la disoccupazione e forme di impiego mortificanti o irregolari?

 

Se lo sono chiesto gli operatori dell’Associazione ONLUS Arci Madiba di Pistoia, che lo scorso venerdì hanno inaugurato le lezioni di “Artigiani del domani”, un percorso formativo innovativo che mira a ridefinire la concezione di filiera formazione-lavoro per gli utenti dei CAS dell’Arci Madiba e non solo.

 

Grazie alle capacità di autofinanziamento dell’associazione e al sostegno della Fondazione Carlo Marchi, l’iscrizione è infatti completamente gratuita e aperta a tutti: agli ospiti di qualsiasi CAS della provincia di Pistoia come anche ai ragazzi con cittadinanza italiana che hanno difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro.
“Il percorso non nasce per favorire l’inclusione sociale dei soli richiedenti asilo” racconta al team di AccoglienzaToscana Alberto Zinanni, presidente della cooperativa e fondatore del progetto, “ma di tutti quelli che, come loro, sono in condizione di vulnerabilità nel mondo del lavoro. Ad esempio stiamo cercando di coinvolgere i ‘NEET’ italiani, e cioè i giovani disoccupati tra i 15 e i 30 anni che non godono di titoli di studio o corsi professionalizzanti. E in futuro vorremmo arrivare ai disoccupati Over 50 che fanno fatica a reinventarsi”.

La scelta di un target inclusivo è in linea con le raccomandazioni in materia di formazione lavorativa e di coesione sociale raccolte nel Libro Bianco, ma i punti di contatto non finiscono qui. “Ad oggi i laboratori in programma sono cinque: c’è falegnameria, che è già cominciato, e tra dieci giorni serigrafia. A fine giugno invece inizierà panificazione, poi a settembre ceramica e calzoleria” continua Zinanni, “ma in un’altra provincia forse avremmo scelto diversamente. Non è tanto il tipo di corsi che abbiamo scelto a rendere il progetto un buon modello, quanto il modo in cui siamo arrivati a sceglierli. Abbiamo chiesto consiglio ad alcuni giovani professionisti dell’artigianato di Pistoia, così da far incontrare le richieste del mercato del lavoro e la manodopera che formiamo. E questa è una logica che spesso rischia di sfuggire agli stessi Centri per l’Impiego, quando manca un ente ben radicato nella realtà locale che sappia leggerne il tessuto sociale ed economico”.


Un percorso condiviso orientato all’inclusività e all’ascolto del territorio, come anche all’incontro tra persone. “Quello che offriamo è un’occasione di scambio orizzontale più che una noiosa lezione frontale” racconta Alina Ibrahim, coordinatrice del progetto, “perché conoscendosi si impara con più gusto e si fa vera inclusione sociale prima ancora di creare opportunità di lavoro.”
Il progetto ha già attirato l’attenzione di altre cooperative per l’accoglienza e ad oggi conta 36 partecipanti, ma le iscrizioni sono ancora aperte. Con una speranza: quella di brandizzare i prodotti artigianali e arrivare ad autofinanziarsi attraverso i mercatini locali e una piattaforma online.

Quando i CAS incontrano la comunità locale: l’esperienza di Officine Cavane come modello di coesione sociale

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Sono anni ormai che nella gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo in Italia, le istituzioni si trovano a fare ricorso alle strutture CAS (Centri di accoglienza straordinaria). Quello dei CAS è un espediente nato in una situazione di straordinarietà, segnata dalla mancanza di posti nelle strutture ordinarie di prima accoglienza o nei servizi predisposti dagli enti locali. Nella prassi del Viminale, questo sistema emergenziale è finito col diventare una modalità ordinaria di prima (e seconda) accoglienza, che per questioni di natura strutturale non sempre è in grado di garantire un’accoglienza di qualità come succede all’interno del sistema SPRAR. Per questo la Regione Toscana ha sostenuto, di pari passo con la promozione del Sistema SPRAR, un miglioramento nella gestione dei centri CAS; investendo nel coinvolgimento dei gestori per stimolare la condivisione di un modello di integrazione. Modello che rischia di essere compromesso dall’entrata in vigore del nuovo Decreto Legge Salvini.

I CAS, infatti, non sono tutti uguali. Nella provincia di Pisa c’è qualcuno che ha scommesso sull’integrazione sostenibile e di lungo periodo, inaugurando un circolo virtuoso per i richiedenti asilo e per la comunità locale che ha già attirato l’attenzione dei media locali e nazionali. Sono quelli di “Officine Cavane”, la nuova realtà dell’accoglienza nata a San Miniato grazie agli sforzi dell’associazione per la promozione sociale Tra i Binari, della cooperativa sociale La Pietra d’Angolo e dei cittadini residenti. Il team progettuale ha ristrutturato un casolare abbandonato da sette anni nelle campagne tra Pisa e Firenze, e nel renderlo un Centro di accoglienza straordinaria per 40 richiedenti asilo ha trasformato una zona abbandonata in un nuovo centro nevralgico per tutto il comune.

Il casolare di Officine Cavane infatti non è solo un posto dove vivere in serenità nell’attesa del riconoscimento del proprio status di rifugiato, ma un vero e proprio laboratorio di conoscenza reciproca e crescita personale. Accanto alla struttura abitativa è stata inaugurata una falegnameria, dove gli ospiti restaureranno mobili insieme a cittadini disabili, ma anche una ciclofficina, un progetto di volontariato internazionale Erasmus+, un percorso di social media storytelling e un laboratorio di teatro a cui partecipano, oltre ai richiedenti asilo, più di venti residenti della zona.

La sfida di “Officine Cavane” non riguarda soltanto l’accoglienza in senso stretto. Il progetto infatti ha già cominciato ad avere ricadute positive a cascata sulla comunità ospitante: oltre alle attività laboratoriali offerte ai cittadini residenti, le attività stesse di ristrutturazione dello stabile sono state un beneficio per chi dava in affitto un casolare abbandonato e hanno offerto nuove opportunità per alcune aziende del territorio.

La sede è stata inaugurata domenica 16 settembre alla presenza di centinaia di visitatori, tra cittadini privati e rappresentanti delle amministrazioni locali. Per l’occasione, i ragazzi hanno dato vita allo spettacolo teatrale “Tutti al Matrimonio”: la celebrazione di un vero e proprio “matrimonio tra l’Italia e il resto del mondo”, come l’ha definita Francesco Mugnari, regista teatrale e presidente dell’associazione “Tra i Binari”. Non solo belle parole, ma il manifesto programmatico di un progetto di innovazione sociale che è partito bene fin dall’inizio. La cittadinanza locale infatti è stata subito informata di quello che sarebbe successo presso il centro di accoglienza, ed è stata coinvolta direttamente nelle attività di ristrutturazione dello stabile.

Ed è forse questo un altro segreto del successo dell’iniziativa: la capacità degli organizzatori di mettersi in contatto con la comunità locale e chiamarla a prendere parte attiva ad un percorso di coesione sociale che riguarda chi accoglie tanto quanto chi viene accolto.

"In un periodo in cui siamo in guerra, abbiamo deciso da che parte stare, e abbiamo scelto la parte giusta", hanno spiegato all’inaugurazione Michele Baldini e Michela De Vita, della Pietra d'Angolo. “Pensiamo all'integrazione sia attraverso l'educazione sia attraverso la creatività. Sarà una zona aperta a tutti, chiunque vuol venire anche semplicemente 'a veglia' può farlo".

Le amministrazioni locali hanno dato il loro sostegno all’iniziativa, e lanciato un appello: "Ci mettiamo la faccia, siamo orgogliosi dell'iniziativa. Il problema principale dell'accoglienza riguarda le normative: chiediamo più autonomia agli enti come i comuni".

Nel futuro, Officine Cavane punta ad autosostenersi per spese come la ristrutturazione completa dello stabile, l’organizzazione di eventi, la gestione dei canali di comunicazione. Per questo motivo ha preparato una campagna di crowdfunding da 5mila euro che è stata già lanciata sulla piattaforma Eppela.

 

Reti in Rete: il co-design del comune di Cortona come esempio di ascolto dei beneficiari

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Come si può garantire continuità a un progetto di volontariato per la coesione sociale? Certo le strategie possono essere tante, ma nell’avviso pubblico regionale dello scorso ottobre Regione Toscana ha individuato due ingredienti fondamentali: lo sviluppo di forme di collaborazione tra soggetti pubblici e il ricorso a modalità di co-progettazione che includano i beneficiari stessi.

La capacità di un progetto di mettere in sinergia le competenze disponibili sul territorio infatti non solo ha l’effetto benefico di rafforzare le reti sociali all’interno della società civile, ma garantisce anche un ascolto approfondito delle realtà locali. In questo modo si possono impiegare al meglio le risorse disponibili sul territorio, arrivando a rispondere ai bisogni particolari di chi quel territorio lo vive - le necessità di chi accoglie come quelle di chi viene accolto.

Ne è un ottimo esempio il progetto aggiudicatario del comune di Cortona “Reti in rete - integrazione delle risorse per l’inclusione e la coesione sociale”, un percorso di progettazione partecipata che a partire dal giugno 2018 ha coinvolto richiedenti asilo, soggetti gestori delle strutture di accoglienza, la provincia di Arezzo e numerose associazioni di volontariato.

Grazie anche alla presenza costante di un mediatore interculturale, oltre 30 richiedenti asilo hanno partecipato con successo alle modalità di co-design del progetto. Ne è risultata la definizione di un percorso ampio e strutturato, che promette di incontrare il bisogno di acquisizione, consolidamento e riconoscimento di competenze utili all’inserimento lavorativo, come anche di elaborazione di vissuti personali, di creazione di momenti per il dialogo e il confronto.

Un patto di collaborazione declinato su più piani d’azione, che vanno dal coinvolgimento dei richiedenti asilo nella cura dei beni comuni alla sensibilizzazione della comunità locale sui valori dell’accoglienza e dell’integrazione. Grazie a questa innovativa modalità di stesura, e con il supporto finanziario di Regione Toscana, l’offerta formativa del comune è infatti incredibilmente varia. Gli ospiti dei centri di accoglienza potranno partecipare a percorsi educativi di educazione alla cittadinanza, di cura dei beni comuni, di educazione stradale, di acquisizione di life skills, di prevenzione alle dipendenze e alla contrazione di malattie sessualmente trasmissibili, di approfondimento sulle differenze di genere e sui diritti delle donne. Nel Patto rientra anche la possibilità per i richiedenti asilo di raccontarsi all’interno delle classi delle scuole superiori, e la loro partecipazione alle attività laboratoriali del Teatro delle emozioni - cui prenderanno parte insieme ai bambini e ragazzi dello spazio compiti e agli anziani ospiti di una RSA. 
E ancora: si prevede l’inaugurazione delle la realizzazione dell’orto-giardino interculturale del Parco archeologico del Sodo (dove le piante dei paesi d’origine di ciascuno cresceranno accanto a quelle di antica coltivazione etrusca), un laboratorio di cucito e l’inizio di un percorso formativo di guida del muletto e certificazione HACCP. 

In tutto saranno 175 i partecipanti alle attività, che si prevede continueranno fino alla fine dell’anno. Una partecipazione numerosa, che sembra confermare quanto importante sia per un buon progetto di coesione sociale il coinvolgimento di ampie reti territoriali con cui condividere le modalità di progettazione.

Fai parte di un progetto che coinvolge richiedenti asilo titolari di protezione internazionale o umanitaria, o cittadini di paesi terzi in Toscana? Partecipa alla rilevazione delle buone pratiche di #AccoglienzaToscana compilando questo questionario entro il 30 novembre.

La crowdmap di LACA19: dal risveglio di Poggio alla Croce a una rete di risorse regionali

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Associazioni di volontariato e cittadini possono imparare a fare un’accoglienza di qualità e professionale? E se sì, in che modo? Il Laboratorio Aperto di Cittadinanza Attiva LACA19 vuole trovare una risposta a queste domande, attraverso la messa in rete e la comunicazione delle migliori pratiche di accoglienza disponibili sul territorio.

Era l’aprile del 2017 quando i 190 abitanti di Poggio alla Croce, un paesino nella Città Metropolitana di Firenze, hanno ricevuto la notizia dell’arrivo di 30 richiedenti asilo sul territorio. La reazione dei cittadini fu esplosiva. Nel giro di 3 giorni erano già state raccolte in tutto il vicinato oltre 230 firme di protesta contro l’insediamento di un CAS nel territorio: una chiusura improvvisa e di pancia della comunità locale, che per i firmatari stessi era difficile motivare nel dettaglio.

Ma questa non è la storia di un rifiuto: piuttosto è quella di un risveglio. Alcuni cittadini infatti hanno deciso di creare un movimento di auto-formazione, per farsi raccontare nel dettaglio le esperienze di operatori di ogni tipo in territori vicini e lontani e imparare dai loro successi e dai loro errori. Nei locali messi a disposizione dalla curia è nata una scuola di italiano molto partecipata, frequentata abitualmente da più di 20 volontari del paese.

È dal raggiungimento di questo traguardo che ha mosso i primi passi il Laboratorio Aperto di Cittadinanza Attiva LACA19: un progetto di partecipazione e messa in rete di competenze pensato non tanto per i richiedenti asilo, quanto per i membri delle comunità di tutta Italia. L’idea è nata dalla volontà di condividere la storia del risveglio e del percorso di formazione della comunità di Poggio alla Croce, attraverso un docufilm che offra spunti di riflessione e faccia emergere una nuova “normalità” tutta da imitare.

A partire dalla realizzazione del documentario, il progetto è cresciuto e ha portato all’inaugurazione di altri progetti. Nasce così la creazione della nuova mappatura geografica delle buone pratiche dell’accoglienza, consultabile con Ushahidi e aggiornabile dagli utenti come una crowdmap.

“Esplorando e conoscendo il mondo dell’accoglienza si rimane colpiti dalla difficoltà a reperire informazioni utili e dall’enorme spreco di risorse quando ciascuno cerca faticosamente la propria strada in solitudine” racconta Andreas Formiconi, uno dei promotori dell’iniziativa, “innumerevoli volte vengono ripetute le stesse domande per ottenere le stesse risposte. Domande, ansie, risposte reiterate chissà quante volte in tutto il Paese. Vogliamo unire le forze di chiunque abbia una visione costruttiva e inclusiva del mondo”.

Il progetto, di cui è capofila la Pubblica Assistenza SMS Unione San Polo in Chianti, conta su una rete di partner flessibile e in continua espansione, tra cui: Curia Vescovile di Fiesole, Comune di Figline e Incisa Valdarno, Comune di Greve in Chianti, Università degli Studi di Firenze, Progetto Accoglienza Borgo San Lorenzo, Anelli Mancanti Firenze, Associazione “Salve! Health to Care” Loppiano, Anelli Mancanti Valdarno, Auser Figline Valdarno, Associazione “Amici del Valdarno”, Croce Azzurra Figline Valdarno, Associazione “Il Mantello” Paterno-Pelago.

Il Progetto è stato approvato con D.D.R. 18515/18 con il contributo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Regione Toscana nell’ambito dell’avviso pubblico per la concessione a soggetti del terzo settore di contributi in ambito sociale.

Contribuisci alla mappatura delle buone pratiche dell’accoglienza cliccando qui.

Scopri di più sul progetto LACA19 cliccando qui.