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Una comunità di pratica per l’inclusione sociale di tutti e tutte. Intervista ad Andrea De Conno di Federsanità - Anci Toscana

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)
La Comunità di pratica sull’inclusione sociale in Toscana è nata quasi due anni fa su intuizione di Regione Toscana, Federsanità - Anci Toscana, con il contributo scientifico dell’Istituto di Ricerca Sociale IRS.

È un luogo, per ora virtuale, che viene incontro alla necessità delle istituzioni di instaurare forme di dialogo diretto con i territori - per fare in modo che le pratiche territoriali, illuminate in una cornice teorica e di confronto, possano diventare la base e la linfa vitale della programmazione delle politiche di inclusione in Toscana. Animata da più di 100 operatori dei servizi territoriali di tutta la regione, questa iniziativa ha come obiettivo principale quello di valorizzare le esperienze territoriali sviluppate  a livello locale, e fare in modo che queste incontrino le linee tecniche di livello nazionale e regionale. Uno sforzo metodologico importante che guarda al superamento delle divisioni settoriali, per garantire i diritti di tutte le persone vulnerabili o a rischio vulnerabilità, tra cui ovviamente anche quelle con background o vissuto migratorio. Ma come è nata, quale direzione sta prendendo e in che modo potrà favorire? Ne abbiamo parlato con Andrea De Conno di Federsanità - Anci Toscana, che fungerà da portavoce di un collettivo di colleghi e colleghe che ha lavorato all’iniziativa. 


“Inclusione sociale” è un termine che, per fortuna, oggi viene usato sempre più di frequente. Eppure resta di difficile definizione. Quale punto di vista assume la comunità di pratica di Regione Toscana?


Direi non uno soltanto, ma più punti di vista. Ed è inevitabile che sia così: non solo perché l’esclusione sociale e la povertà sono fenomeni di natura multidimensionale.  Ma anche perché è fondamentale che il percorso stesso della comunità di pratica possa assumere via via curvature diverse in base alle priorità che emergono dal confronto tra partecipanti.

Il primo anno la comunità di pratica era concentrata sulla misura del Reddito di Cittadinanza, e quindi in senso più ampio sui processi di impoverimento e le misure di contrasto alla povertà che l’esperienza pandemica ha fatto emergere con più forza. In questo ultimo anno la comunità si è mossa verso gli interventi di inclusione sociale delle famiglie in situazione di vulnerabilità. Abbiamo affrontato anche il rapporto tra i processi di presa in carico tipici del Reddito di Cittadinanza e quelli del programma nazionale P.I.P.P.I [Programma di Intervento per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione, dedicato ai minori, NdR], grazie al coinvolgimento del Centro Regionale Infanzia e Adolescenza. E ancora: in questo secondo semestre del 2021 siamo arrivati a includere l’agenzia del lavoro regionale ARTI sui temi dell’inclusione che riguardano il complesso dialogo tra sociale e lavoro. 


A chi è dedicato questo percorso?


Prevalentemente a referenti zonali e operatori dei servizi pubblici territoriali. Anche in questo la comunità di pratica è fluida e in evoluzione, perché la tipologia di tecnici e operatori che arriviamo a includere cambia anche in base alla curvatura tematica che intendiamo seguire. Dopo il Centro Infanzia Adolescenza, gli assistenti sociali dedicati al programma P.I.P.P.I. e in generale ai minori, oggi coinvolgiamo assistenti sociali e operatori dei Centri per l’Impiego. Proprio in questi giorni ad esempio registriamo la necessità di fruire anche dell’apporto degli operatori dei servizi socio-sanitari: e quindi ci confronteremo per capire come coinvolgerli e camminare in una direzione comune.

Ahimé in Italia abbiamo ancora un welfare di impronta fortemente categoriale. Per questo è ancora più importante farsi contaminare il più possibile dalle esperienze altrui, così da seguire davvero un orizzonte comune. “A chi ci vogliamo aprire ora?” è una domanda complessa a cui troviamo risposta nel confronto tra Regione Toscana, Anci Toscana, e IRS - ma anche a partire dalle stesse sollecitazioni interne alla comunità di pratica e agli stimoli dell’Osservatorio Sociale Regionale. 


Un luogo di sviluppo della multidimensionalità e della multiprofessionalità, quindi.


Assolutamente. E la sua stessa struttura ne è la dimostrazione. In genere prevediamo un incontro iniziale in cui lanciamo i temi della comunità di pratica, con gli assessori regionali competenti. Poi però il percorso si divide in tre appuntamenti distinti, uno per ciascuna area vasta: si creano così tre gruppi da 30 persone circa in Toscana Nord-Ovest, Toscana Centro, Toscana Sud-Est. Perché questo, ti chiederai. Perché la comunità di pratica non è il contesto seminariale in cui c’è un esperto che parla e gli altri ascoltano zitti. Ma si cerca di stimolare l’emersione delle esperienze locali delle zone.

E così ragionare nel perimetro di una stessa area vasta permette agli operatori di mettere a confronto più facilmente la propria esperienza nei momenti laboratoriali…

Di più: ci permette di promuovere l’autocandidatura dei partecipanti come speaker degli interventi frontali stessi. Ti faccio un esempio. Qualche giorno fa abbiamo lanciato una call nelle tre aree vaste: “Chi vuole partecipare alla comunità di pratica e presentare la propria esperienza di commistione tra assistenti sociali e Centro per l’Impiego?” Due, tre, quattro referenti delle zone-distretto di ciascuna area vasta si sono presentati. E presto racconteranno la loro esperienza agli operatori delle zone vicine. A seguire, tutti potranno ‘rimasticare’ gli interventi nei gruppi di lavoro. È quello che chiamiamo “apprendimento collettivo partecipato”.

A sostenere maggiormente il processo di confronto la Comunità di pratica si è dotata di una piattaforma web che raccoglie non solo i materiali dei laboratori, ma anche una newsletter periodica redatta da IRS che aggiorna i partecipanti sul dibattito normativo, culturale, operativo in corso a livello nazionale e collegata a Welforum, l’Osservatorio Nazionale sulle Politiche Sociali. La piattaforma è anche luogo di scambio tra i partecipanti alla comunità di pratica e deposito di norme, atti, esperienze.

È impressionante il potenziale che un’iniziativa come questa può avere in termini di sviluppo delle competenze. Ma quello che emerge in ciascun incontro viene anche diffuso? Oppure ‘quel che accade nella comunità di pratica resta nella comunità di pratica’? 


Mi fai una domanda molto importante. Certo anche soltanto la crescita professionale di chi partecipa agli incontri potrebbe dirsi un risultato soddisfacente. Ma con tutta l’attenzione prestata all’adozione di metodologie per favorire l’emersione di bisogni, colli di bottiglia, aree grigie, errori da non ripetere, strategie vincenti… sarebbe un peccato fermarsi qui. Per questo la comunità di pratica ha come obiettivo esplicito anche quello di rilanciare le evidenze che emergono dagli incontri territoriali, con una diffusione nei think-tank di livello nazionale ma anche con affacci mirati ai luoghi e ai processi delle politiche regionali - perché queste evidenze possano informare i livelli decisionali più alti del sistema di governance socio-sanitario in Toscana. Insomma: la comunità di pratica non è il luogo dove si prendono decisioni. Ma è uno strumento utile per chi è deputato a farlo.
 

Stiamo parlando della programmazione di livello regionale?
 

Primariamente. Per questo Regione Toscana ha istituito un tavolo ad hoc per l’inclusione regionale cui si affacciano le diverse Direzioni regionali. Un organismo di coordinamento e raccordo tra comuni e zone, che è presieduto dall’Assessorato regionale al sociale, da Anci Toscana e da un referente per ciascuna zona-distretto, partecipato anche dall’Assessorato al Diritto alla salute e alla sanità, e dall’Assessorato all’istruzione. Un luogo su cui si affacciano tutte le Direzioni che possono avere un impatto sulla multidimensionalità della povertà come quelle al lavoro, all’istruzione, e alle politiche abitative - e che è anche aperto alla consultazione di organismi pubblici e rappresentanti del terzo settore e parti sociali impegnate nel contrasto della marginalità. Un luogo che può intercettare i segnali della comunità di pratica e tracciare le politiche, e dove ci si può dedicare al paziente lavoro di cucitura tra servizi fondamentali per la persona - come ad esempio gli strumenti e le misure dell’inclusione sociale e quelli dell’inclusione lavorativa. Ma anche la cucitura tra altri servizi fondamentali per la persona.


Puoi fare un esempio di questo raccordo?


Senz’altro, in questi giorni, l’esempio migliore sono i Progetti Utili alla Collettività del Reddito di Cittadinanza: delle attività pensate come obbligatorie per i beneficiari del Reddito di Cittadinanza che rischiano di entrare in logiche di sdebitamento ma che, con il coinvolgimento  delle comunità territoriali e anche dei Centri per l’Impiego, possono anche diventare occasioni  per acquisire competenze lavorative importanti. Ma potrei nominare altri progetti che in molte zone stanno diventando una palestra di integrazione orizzontale tra servizi. Queste ricuciture iniziano al livello territoriale, ed è normale che sia così: quale stimolo migliore per superare le divisioni settoriali se non la voce di quegli operatori ed operatrici della Comunità di Pratica, che ogni giorno incontrano persone uniche al mondo che cercano di tutelare attingendo a questa o a quella linea di finanziamento, come sarti che preparano un cappotto su misura? Cambia il girovita, cambiano le stoffe, ma le mani che cuciono spesso sono le stesse e il nemico è sempre uno: il freddo cane che fa fuori se stai troppo scoperto. Però, è importante che questo primo impulso possa propagarsi e tradursi in uno sforzo fatto su altri livelli di governance. Ed è questo che Regione Toscana sta facendo con una lodevole lungimiranza.


E i cittadini di paesi terzi? C’è posto anche per loro in questo ragionamento?


Ovunque, per questo stesso motivo. Perché i problemi a cui la comunità di pratica e il tavolo si dedicano, o meglio i diritti fondamentali che vogliono garantire, appartengono a tutte le persone che permangono sul nostro territorio - comprese quelle con un vissuto migratorio più o meno recente. E infatti uno dei momenti di approfondimento proposti nell’ambito della comunità di pratica è stato proprio dedicato al tema specifico delle politiche di accoglienza. Su questo, le iniziative di livello regionale, zonale e comunale sono tante. Sempre sul tema del lavoro e del sociale ad esempio, ANCI Toscana e Regione Toscana hanno già fatto tantissimo e in modo molto proficuo, attraverso i progetti TEAMS e COMMIT, o con il lavoro di analisi dei progetti realizzati grazie al cosiddetto “bando coesione sociale”. Lo stesso si può dire degli sforzi fatti dai progetti Includ-EU e Savoir Faire per quanto riguarda l’inclusione abitativa ed economica. 

E sebbene misure importanti come il Reddito di Cittadinanza abbiano ancora requisiti limitanti [10 anni di residenza comprovata, di cui gli ultimi 2 in modo continuativo, NdR], più arrivabili sembrano essere altre iniziative recenti come ad esempio l’assegno universale per la famiglia, che entrerà in vigore a marzo 2022 e sarà accessibile a tutte le famiglie che sono in Italia da 2 anni anche non continuativi. Anche prendendo i cittadini di paesi terzi come punto di riferimento, la sfida di oggi sembra essere la stessa: fare in modo che ci siano orizzonti di servizi, percorsi e processi che siano attivabili a prescindere dalle categorie sociali in cui si ricade.


Insomma categorizzare i diritti, prima delle persone.


Sì, ma stando sempre attenti anche a promuovere luoghi di sintesi dei percorsi. Come gli one-stop shop: sportelli unici in grado di riconoscere e rispondere a tutte le asimmetrie. Oggi la comunità di pratica si muove verso questo nuovo tipo di approccio, camminando con le gambe degli operatori. Che in questo, come in altre cose, vedono molto lontano.

Dicevi che i risultati della comunità di pratica possono essere masticati “primariamente” a livello regionale. Ci sono altri livelli del sistema socio-sanitario toscano dove questa cucitura è possibile?


Naturalmente sì: c’è un luogo in particolare in cui l’integrazione tra servizi non è solo un’occasione, ma una vera e propria necessità. Sto parlando delle zone-distretto, e dei processi di programmazione delle politiche sociali,  socio-sanitarie, sanitarie in un’ottica di promozione della Salute contenute nei Piani integrati di Salute Zonali; qui saranno fondamentali anche i risultati di un’altra iniziativa che vede insieme Regione Toscana, Federsanità - Anci Toscana e IRS: la comunità di pratica dedicata al tema specifico della programmazione.

La programmazione zonale in fondo nasce per questo, giusto? È la zona-distretto il luogo principale in cui confluiscono le risorse per l’inclusione.

E non sono mai state così tante. Soltanto limitandosi alle materie di cui ci siamo occupati, contiamo:

- PON Inclusione (servizi sociali): 1,2 miliardi; 

- FEAD (principalmente dedicato al sostegno alimentare) 0,8 miliardi, hanno ancora una coda residuale (circa 0,4 miliardi) da impiegare entro il 2023 e vedranno una conferma nella programmazione 2021-2026 verosimilmente dentro un unico programma PON Inclusione, di cui si è avviata la programmazione, con una dotazione significativamente superiore alla somma dei due programmi precedenti; 

- REACT-EU, inserite nella coda della programmazione PON Inclusione e FEAD 2014-2020, per un ammontare pari a 90 e 190 milioni rispettivamente; 

- POC Inclusione, il Piano operativo complementare finanziato con le risorse derivanti dall'aumento del cofinanziamento europeo e dall'utilizzo di circa 250 milioni del PON Inclusione per spese legate al Covid: 300 milioni; 

- PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, per tre specifici interventi sul sociale a regia nazionale concernenti interventi in ambito socio-sanitario, interventi di sostegno alle persone con disabilità e intervento di contrasto alla povertà estrema: 1,45 miliardi. 


Una grande occasione, che però va saputa cogliere. Per non lasciare indietro nessuno. 

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