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Analisi e considerazioni per l’implementazione di strumenti e modalità di contrasto al lavoro nero: intervista a Emilio Santoro di L'Altro Diritto

(In collaborazione con Toscana Notizie - Agenzia di informazione della giunta regionale)

Si è tenuto lo scorso venerdì 13 gennaio 2022 presso l’Impact Hub di Firenze “Analisi e prospettive per un sistema toscano di contrasto allo sfruttamento lavorativo”, l’evento finale del progetto FAMI Commit. L’evento ha offerto un momento di condivisione, riflessione e approfondimento delle tante iniziative portate avanti in questi anni di lavoro da Regione Toscana e Anci Toscana per il contrasto allo sfruttamento lavorativo.

Ma in Italia e in Toscana come intendiamo oggi lo sfruttamento lavorativo e quali strumenti e azioni si possono sviluppare per contrastarlo? Ne abbiamo parlato con Emilio Santoro, Docente presso l’Università di Firenze e Presidente del Comitato scientifico di Altro Diritto cercando di inquadrare il fenomeno dello sfruttamento lavorativo e delle possibili azioni da mettere in campo per contrastarlo. 

 

Quali sono le azioni che portate avanti con Altro Diritto?

Altro Diritto è un centro di ricerca interuniversitario da anni impegnato nello studio, nell’analisi e nell’implementazione di strumenti e modalità utili a contrastare il fenomeno dello sfruttamento lavorativo. Portiamo avanti attività di ricerca azione che hanno come obiettivo studiare il fenomeno in modo da capire quali strategie possono essere attuate e corrette in un’ottica circolare in cui si cerca costantemente di migliorare gli strumenti giuridici a disposizione. In parallelo facciamo un lavoro capillare di individuazione degli attori che potenzialmente sono in grado di intercettare storie di sfruttamento lavorativo, quindi centri per l’impiego, sindacati ecc. Questo perché crediamo sia fondamentale la sensibilizzazione, insegnare a porre le giuste domande e a capire quali sono i bisogni e le difficoltà che portano ad accettare certe condizioni. 

 

Come inquadra oggi il fenomeno dello sfruttamento lavorativo in Italia e nello specifico in Toscana?

Esistono diverse tipologie di sfruttamento lavorativo. Quello maggioritario riguarda soprattutto migranti, richiedenti asilo o con permessi speciali. Quasi tutto lo sfruttamento lavorativo che vediamo riguarda lavori di bassa qualificazione. Dobbiamo ricordarci che il fenomeno dipende dalla precarietà del soggiorno, ma anche dal sistema di accoglienza che l’Italia e l’Europa organizzano per i richiedenti asilo. L’altro fenomeno è che in generale il 20% dell’economia italiana è in nero, in alcune regioni di più e altre di meno e con il Covid e con la crisi economica la situazione si è aggravata evidenziando come sia aumentato anche lo stato di necessità degli italiani e non solo quello dei cittadini di paesi terzi.  

 

Ci sono settori lavorativi in cui queste azioni sono più difficili da portare avanti?

Sì, sicuramente il lavoro agricolo che per la sua struttura e stagionalità rende l’intercettazione e l’azione più complessa. Anche il settore manifatturiero che spesso reggendosi su sistemi di subappalto risulta più nascosto e stratificato. Bisognerebbe incentivare sempre più aziende a prendersi la responsabilità di fare controlli anche nelle ditte a cui affidano parte del lavoro. Tra le grandi aziende del settore della moda questo è un’azione che spesso già avviene, ma più per un fattore di reputazione perché non ci si può permettere che emergano situazioni potenzialmente pericolose. Questo però dovrebbe essere lo standard e non una sorta di contrattazione dettata solo dall’immagine. Il lavoro domestico è un altro settore in cui il problema è incancrenito perché una famiglia italiana media non può permettersi da sola di pagare i salari minimi previsti. Se per esempio hai bisogno di qualcuno che assista una persona tutto il giorno dovrai assumere due persone e pagare a ciascuna uno stipendio regolare di circa 1300 euro al mese, contributi compresi e solo il 10% delle famiglie italiane forse si può permettere di pagare queste cifre. 

 

Pensando al sistema di accoglienza italiano, in che modo per come è strutturato lei crede che possa contribuire al fenomeno dello sfruttamento lavorativo?

Spesso si passa da un’intenzione di aiuto a una di intrappolamento. Abbiamo un’accoglienza in grado di rispondere ai bisogni urgenti individuali tramite SAI e CAS, ma che non è in grado di rispondere al principale motivo per cui le persone accettano lavori non regolari, ovvero la necessità di mandare soldi a casa. 

L’accoglienza provvede a bisogni essenziali (alloggio, pasti), ma spesso intrappola le persone mettendole di fronte ad un aut aut inaccettabile dove se guadagnano più di 500 euro al mese perdo l’accoglienza. Molti lavori permetterebbero di arrivare a 1200 euro al mese, ma bisogna ricordarsi che spesso sono cifre che nelle grandi città non permettono a tutti di potersi pagare una stanza o un alloggio e al contempo mandare soldi a casa. Inoltre, superata una certa soglia perdo l’accoglienza portando le persone a svolgere lavori in nero o in grigio per non dover dichiarare il loro reale guadagno. Perdere l’accoglienza vuol dire essere costretti ad andare a vivere dal datore di lavoro creando ulteriori condizioni ideali per fenomeni di sfruttamento sfruttamento. Paradossalmente noi spingiamo le persone a lavorare in nero, creiamo noi quello stato di bisogno che il codice penale prevede come presupposto per lo sfruttamento lavorativo.

 

Secondo lei esistono soluzioni a questo paradosso?

Quando si usavano i voucher nel lavoro domestico, a un certo punto si era arrivati alla conclusione che per evitare situazioni di sfruttamento bisognasse attivare il voucher prima dell’inizio del lavoro, non dopo. Lo stesso nel lavoro agricolo dove si registrano le giornate di lavoro e quelle di riposo, ma chiaro che se la registrazione viene fatta nel mese successivo verranno facilmente denunciate solo alcune giornate. In alcuni settori, come quello domestico, i controlli sono praticamente impossibili da fare o comunque più difficili rispetto a impieghi che si svolgono in aziende. 

 

Ci sono degli indicatori a cui fare attenzione quando si parla di sfruttamento lavorativo? 

Uno degli indicatori principali a cui fare attenzione è la differenza tra la retribuzione effettiva e quella prevista dal contratto. Secondo me questo indice si allargherà. Poi c’è tutto un fenomeno di subappalto e imprenditoria etnica che in Toscana è presente, basti pensare al distretto tessile di Prato e Firenze, ma questo anche nel settore orafo dell’aretino. Da una parte si tratta di un problema legato ai subappalti a piccole ditte delle grandi firme internazionali.

 

Quali sono le azioni che andrebbero implementate per intercettare e contrastare casi di sfruttamento lavorativo?

Se noi vogliamo davvero combattere lo sfruttamento lavorativo dobbiamo mettere le persone nelle condizioni di contrattare il lavoro senza che lo stato di necessità prevalga e condizioni le scelte dei singoli. Se non sono nelle condizioni di contrattare questo fenomeno continuerà ad essere incoraggiato. Un’altra azione di contrasto è quella di cambiare le politiche di reddito alla cittadinanza, ma bisogna anche dire che si tratta di un lavoro più complesso. Ma nei casi in cui lo sfruttamento è già iniziato bisogna far saltare la norma sull’allontanamento dalle accoglienze e trasformarla in una norma sulla contribuzione. In quest’ottica, anche prevedere tirocini e formazioni professionali retribuite potrebbe essere una strategia efficace che consente ai soggetti di acquisire competenze senza rinunciare alla necessità di inviare soldi a casa, che come dicevamo prima è uno dei fattori principali di accettazione di condizioni lavorative non regolari. Anche la tempestività è fondamentale, ovvero riuscire a intercettare rapidamente le condizioni di rischio e per farlo bisogna insistere sulle formazioni anche degli operatori e di tutte le figure professionali che in qualche modo potrebbero venire a contatto con questi casi. Infine, l’aspetto che si prende meno in considerazione è la discrasia dettata dal costo della vita e dalla retribuzione. Dobbiamo tenere in conto questo aspetto e creare spazi in cui le persone possano vivere a costi accessibili per poter contrastare il rischio di dover accettare condizioni di lavoro non regolari.